IL DESTINO DELL’AFGHANISTAN

Gli americani e i loro alleati hanno appena lasciato l’Afghanistan e già i Taliban, come era prevedibile, lo stanno riconquistando. A velocità. Significa che fra non molto tempo in quel felice Paese non si potrà ascoltare musica, si chiuderanno i cinema, alle donne sarà vietato imparare a leggere e scrivere, agli uomini sarà imposto di farsi crescere la barba, le adultere saranno lapidate e a tutti sarà imposto di rimettere indietro l’orologio al Settimo Secolo dopo Cristo. Dobbiamo piangere sull’Afghanistan? Nient’affatto.
È facile immaginare che coloro che hanno studiato, coloro che conoscono il mondo, e in particolare le donne di un certo livello, siano disperati. Ma è bene che si rassegnino. O che emigrino. Infatti se i Taliban avanzano tanto facilmente è perché vent’anni di occupazione occidentale, vent’anni di indottrinamento forzato dei valori della libertà e della democrazia, non hanno operato il miracolo di far avvicinare gli afghani al mondo contemporaneo. L’Afghanistan profondo, in questi vent’anni, è stato con i Taliban, non con gli stranieri che parlavano di progresso e libertà. Dunque, democraticamente, è giusto che quel Paese sia governato dagli integralisti musulmani. Volendo, dai terroristi.
Il massimo errore l’ha commesso George Bush jr, quando ha invaso l’Afghanistan, per punirlo di essere la centrale e la base del terrorismo islamico internazionale, e per indurlo a divenire una pacifica democrazia. Il secondo scopo era semplicemente assurdo. E se proprio voleva rispondere alla strage con la strage, avrebbe dovuto bombardare tutti gli assembramenti di integralisti, fare migliaia di morti senza rischi e senza grandi spese.
Invadere un Paese – oltre che quello, ovvio, di indurlo alla resa in una guerra campale – ha infatti tutt’altro significato: o ci si vogliono appropriare le sue risorse (come chi invadesse la Norvegia per profittare delle sue riserve petrolifere) oppure, nel caso migliore e più raro, si agisce per eliminare un pericolo e ricondurre un Paese alla democrazia e alla libertà. È per questo che l’invasione della Germania e dell’Italia, da parte degli anglo-americani e soci, è stata un successo. Perché la dittatura non era nel Dna di questi Paesi e costituiva soltanto una parentesi. Prova ne sia che quelle nazioni per risollevarsi sono andate a ricercare i politici che già operavano prima del fascismo e del nazismo, De Gasperi in Italia, Adenauer in Germania.
Ma questo schema non è affatto applicabile a tutti i Paesi. Infatti non ha funzionato con l’Iraq, che pure è una nazione relativamente sviluppata. L’Afghanistan, invece, è profondamente arretrato e sarebbe ricco soltanto se si potessero esportare le pietre. Come sarebbe democratico soltanto se avesse un’altra popolazione. La storia recente dimostra che l’Afghanistan è simile a un ficodindia neppure maturo: volendo coglierlo a mano libera si dimostra di non essere siciliani.
L’Afghanistan non va “lasciato in pace”, perché la pace non sembra essere nelle sue corde; bisogna usare l’equivalente inglese di quell’espressione, “let alone”, lasciato solo. È il meglio che si può fare. È come per Gaza: Israele ci metterebbe mezza giornata, a conquistarla, e a che servirebbe? Sarà un fazzoletto di terra, ma è pieno di musulmani pressoché fanatici, inguaribilmente in miseria, e pieni di odio per Israele fino agli occhi. Se l’unico rapporto che concepiscono è l’inimicizia, l’unico modo per stare tranquilli è erigere una frontiera invalicabile. In fondo è l’idea del Vallo di Adriano.
Indubbiamente, dal nostro punto di vista, il miglior governo è quello democratico, e il massimo bene di una società è la libertà dei suoi cittadini. Ma se un popolo non la pensa così, inutile cercare di spiegarglielo. L’idea di salvare altre nazioni dalla tirannide è un’idea balorda. Perché spesso loro quella tirannide la vogliono o, quanto meno, non concepiscono un altro modo di governare. Se rovesciano un tiranno, lo sostituiscono con un altro. È come se la nave andasse a fondo e alcuni passeggeri rifiutassero di salire sulle scialuppe. Non sarebbe sciocco cercare di imbarcarli con la forza? Se preferiscono morire, se sono convinti che la nave non affonderà, se credono di potere arrivare a riva a nuoto, chi siamo noi per contraddirli? Vuol dire che rimarranno posti liberi sulle scialuppe e galleggeranno meglio.
Ma proprio seguendo questo paragone, sarei felice se l’Occidente potesse fare qualcosa per le donne dell’Afghanistan, e per coloro che, come noi, amano la libertà: ovviamente a titolo individuale e purché si scordino di obbedire alla sharia piuttosto che alla nostra legge. Quanto al loro Paese, bisogna lasciare che se ne torni nel suo Medio Evo. L’Occidente deve soltanto guardarsene come da un grumo di agenti patogeni.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
10 agosto 2021

IL DESTINO DELL’AFGHANISTANultima modifica: 2021-08-10T09:54:25+02:00da gianni.pardo
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