COMMENTO COMMENTATO DI ZAGREBELSKY

Di solito non leggo gli articoli di Vladimiro Zagrebelsky, per due motivi (e forse mi dovrei vergognare di tutti e due): perché è dichiaratamente di sinistra, e poco mi fido; e perché è un (ex?) magistrato. A me piacerebbe che i magistrati stessero zitti, finché in attività di servizio. Come Nicola Gratteri. Stavolta invece, trattandosi della riforma della giustizia, ed avendo io stima, se non della serenità di giudizio, almeno della competenza dei magistrati, ho voluto vedere che cosa ne pensasse un noto giurista come Zagrebelsky. Sono stato ricompensato. Quest’uomo scrive bene e non è affatto uno stupido. Dice anche molte cose esatte e plausibili, e il suo articolo mi è piaciuto(1). Dire però che mi abbia convinto sarebbe interamente falso.
Immaginiamo che un Paese sia attraversato da un grande fiume e che le comunicazioni fra le due sponde ne risultino talmente difficili da impoverire l’intera popolazione. I cittadini pongono il problema a un grande ingegnere e questi risponde presentando il progetto di un ponte strallato che è una meraviglia. Il manufatto risolve definitivamente tutti i problemi di quella nazione. Ha un solo inconveniente: quella nazione non ha affatto i mezzi per permetterselo. L’ingegnere non ha tenuto conto della possibilità concreta di realizzarlo. E così il contesto rende il suo progetto futile. Zagrebelsky ha fatto lo stesso. Dice un bel po’ di cose giuste, senza però tenere conto della realtà.
Si lamenta della fretta con la quale ha agito il governo e dimentica che la fretta è determinata dalla necessità di adempiere le condizioni imposte dall’Europa per la concessione dei prestiti. È come se ci si lamentasse dell’insistenza con cui un malato in preda ad una crisi di colica renale invoca un analgesico.
Il giurista depreca poi, non senza ragione, il fatto che sia mancata la pubblicità “che connota il processo legislativo in Parlamento”. Ed ha ragione, questa pubblicità non c’è stata. Ma non c’è stata dopo che lo stesso Parlamento, pur riconoscendone la necessità, non ha attuato una riforma dell’Amministrazione della Giustizia nemmeno nel corso di sette decenni. Quando contava di occuparsene, nel Tremila?
Con questa fretta, scrive Zagrebelsky, si è avuta una forzatura. Ed anche questo è vero. Ma chi lo afferma dimentica che questa forzatura somiglia a quella che potrebbero attuare i pompieri, sfondando una porta d’ingresso, per andare a salvare un’anziana paralitica. Una porta demolita e un’anziana salvata, o una porta intatta e un’anziana morta? Zagrebelsky sembra allergico a considerare il contesto.
Di analogo tenore è la critica generale secondo cui il governo avrebbe potuto ascoltare una folla di grandi competenti, e tenere conto delle loro opinioni: “non siamo nel deserto delle idee”. E qui il giurista inanella tutta una serie di rimostranze, dimenticando che gli abitanti del nostro immaginario Paese avrebbero preferito la progettazione di un ponte di barche o un ponte sospeso tibetano, realizzabili, ad un ponte meraviglioso che non potevano realizzare.
Addirittura nelle parole di Zagrebelsky si coglie qualche accento di dolente lesa maestà. “Nessuna delle osservazioni, degli argomenti critici, degli allarmi lanciati da istituzioni e da singoli esperti (da ultimo, il parere espresso dal Consiglio superiore della magistratura e l’intervento di quattro autorevoli processualisti) ha trovato riscontro”, scrive Zagrebelsky. “Non dico accoglimento, ma segno di attenzione e magari un principio di risposta, per dire che le critiche non sono fondate”. Ma non ha pensato che, ascoltandoli, si sarebbe giunti agli stessi risultati di tutti gli scorsi decenni? La storia del nodo gordiano dimostra la saggezza dei greci che già allora sapevano che alcuni problemi si risolvono con la pazienza, altri con la spada.
Poi Zagrebelsky critica la riforma sostenendo che lo Stato ha il dovere, una volta cominciato un processo, di portarlo a termine. E questa osservazione costituisce una scorrettezza. Non si può citare la metà di un principio, dimenticando l’altra metà. È vero, “dalla nostra Costituzione si trae il diritto degli imputati a vedersi assolti o condannati, dopo che lo Stato ha iniziato nei loro confronti un processo penale”, ma la stessa Costituzione impone allo Stato, dopo che ha dato inizio ad un processo penale, di fargli avere una durata ragionevole. E infatti la riforma Cartabia non si occupa del diritto del cittadino all’assoluzione o alla condanna, ma del diritto del cittadino di avere l’una o l’altra in un tempo ragionevole.
Infine Zagrebelsky ritiene che bisognerebbe “far sì che le entrate nel circuito processuale siano tali e tante da consentire la loro conclusione”.”Far sì” è una bella espressione che, purtroppo, prescinde anch’essa dal contesto. Indica lo scopo da raggiungere ma nulla dice né sulla possibilità, né sul modo di raggiungerlo.
Solo il Papa può permettersi di dire che “bisognerebbe far sì che nessuno soffra la fame, nel mondo”. Quando si parla seriamente, bisogna commisurare i moniti alle possibilità del destinatario.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
30 luglio 2021

(1) La Stampa – VLADIMIRO ZAGREBELSKY – 30/07/2021 pg. 1 ed. Nazionale

RIFORMA AMBIZIOSA METODO PESSIMO -i>
L’ANALISI
La travagliata gestazione della proposta governativa per la riforma del processo penale giunge ora alla approvazione a tamburo battente del Parlamento, con l’annuncio che non ci saranno modifiche. – P. 25 La travagliata gestazione della proposta governativa per la riforma del processo penale giunge ora alla approvazione a tamburo battente del Parlamento, con l’annuncio che non ci saranno modifiche possibili perché in caso contrario il governo porrà la questione di fiducia: annuncio inusuale perché formulato prima ancora che il testo fosse definito ed eventuali difficoltà di approvazione manifestate. Con l’aggiunta anche della data immediata entro la quale il Parlamento approverà la proposta governativa. Iltesto è ilfrutto di trattative con i partiti della maggioranza, gestite dal presidente del Consiglio e dalla ministra della giustizia. Qualche dichiarazione e qualche indiscrezione hanno raggiunto l’opinione pubblica. Il valore della pubblicità che connota il processo legislativo in Parlamento è vanificato. Dopo anni di decadimento dei principi costituzionali sul processo legislativo e sul rapporto tra governo e Parlamento assistiamo ad una forzatura, tanto più preoccupante perché riguarda un tema proprio del nucleo centrale della sovranità dello Stato: quello della potestà punitiva. Di questo infatti si tratta, quando si disciplinano le regole del processo penale e si definisce quando e come lo Stato rinuncia a punire la violazione della legge penale: la prescrizione dei reati e ora l’inedita improcedibilità che vi si sovrappone ne sono l’applicazione. La riforma che sta per divenire legge è di ampio respiro. Essa contiene norme fortemente innovative per ridurre l’area del giudizio penale, almeno per quanto riguarda la forma piena e gravosa del dibattimento, e del carcere come sanzione principale. Essa introduce nuove vie per evitare il processo mediante le restituzioni e le riparazioni da parte dell’imputato, maggior cura per gli interessi delle parti offese, più larghe possibilità di patteggiamento della pena, nuove possibilità di giustizia riparativa ecc. Di queste novità si parla poco e non sono oggetto dell’attenzione dei partiti. Non sono di immediata applicazione poiché si tratta dell’oggetto di una delega al governo, che dovrà produrre articolati decreti legislativi, traduzione in norme di studi sviluppati da tempo dalla cultura giuridica italiana ed europea. Le modalità con cui si è giunti alla definizione del testo di riforma sembrano però ignorare che non siamo nel deserto delle idee. Oltre e prima degli interessi di partito vi sono in Italia ambienti professionali che hanno maturato esperienze e sviluppato conoscenza e cultura, in un campo che vede convivere con le esigenze pratiche il rigore di principi e valori: le une e gli altri conosciuti dagli esperti pratici e dagli studiosi. Dopo il lavoro svolto dalla Commissione degli esperti nominata dalla ministra della giustizia, nessuna delle osservazioni, degli argomenti critici, degli allarmi lanciati da istituzioni e da singoliesperti (da ultimo, il parere espresso dal Consiglio superiore della magistratura e l’intervento di quattro autorevoli processualisti) ha trovato riscontro. Non dico accoglimento, ma segno di attenzione e magari un principio di risposta, per dire che le critiche non sono fondate. Eppure non si sarebbero dovuti trattare argomenti seri, civilmente esposti, come fossero parte di una campagna urlata, offensiva, con la quale effettivamente il dialogo può esser difficile. Nemmeno l’indicazione che il sistema della decadenza del processo senza decisione nel merito dell’accusa entra in collisione con il diritto dell’Unione e con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani sembra aver impensierito un governo che pur si identifica nell’europeismo. Anche dalla nostra Costituzione, d’altra parte, si trae il diritto degli imputati a vedersi assolti o condannati, dopo che lo Stato ha iniziato nei loro confronti un processo penale. La fretta di ottenere un testo di riforma approvato dal Parlamento ha anche impedito ciò che un governo dovrebbe invece gradire e sollecitare in simile importante materia: lo studio e l’approfondimento nelle sedi in cui si studia e si approfondisce. Per esempio, invece di scegliere di gettare alle ortiche le sentenze di primo grado, quando le Corti di appello o di Cassazione non osserveranno di termini di ragionevolezza stabiliti dalla legge, non si è nemmeno iniziato a pensare se non sia meglio studiare come far sì che le entrate nel circuito processuale siano tali e tante da consentire la loro conclusione: con tutta la depenalizzazione che si può fare, con l’approfondimento del tema dell’organizzazione degli uffici giudiziari nel suo rapporto con le scelte di priorità, che non riguarda le sole Procure della Repubblica, ma il sistema processuale nel suo complesso. I nuovi sistemi di deflazione dei procedimenti sono infatti palesemente insufficienti. Ma, non ostante che nessuna delle nuove norme sia di prossima applicazione a causa della lunga transizione stabilita, nulla di ciò è stato fatto. Gli esperti sono stati degradati a tecnici, facendo credere che si tratti dei difensori di un vecchio, inaccettabile sistema di potere. Il risultato, sul punto delle prescrizioni, è senza pregio e pieno di rischi. E, per una riforma che si vuole ambiziosa, il metodo è stato pessimo. Peccato.

COMMENTO COMMENTATO DI ZAGREBELSKYultima modifica: 2021-07-30T11:46:41+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “COMMENTO COMMENTATO DI ZAGREBELSKY

  1. Il Foglio 29.07.2021
    Ecco cosa cambia davvero con la riforma della Giustizia

    Il Cdm ha approvato all’unanimità la riforma della Giustizia. La cosiddetta riforma Cartabia riguarda solo i reati commessi dopo 1 gennaio 2020. Entrerà in vigore dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge e lo farà gradualmente, per consentire agli uffici giudiziari di organizzarsi, anche tenendo conto dell’arrivo dei 16.500 assistenti dei magistrati, previsti dall’Ufficio del processo, e dei circa 5mila per il personale amministrativo. Vengono immesse cioè nel sistema oltre 20mila persone.

    Fino al 2024, la riforma della Giustizia è una norma transitoria

    Per i primi 3 anni, entro il 31 dicembre 2024, i termini saranno più lunghi per tutti i processi (tre anni in appello; un anno e sei mesi in Cassazione). Con possibilità di proroga, fino a quattro anni in appello (3+1 proroga); e fino a due anni in Cassazione (un anno e sei mesi più sei mesi di proroga) per tutti i processi in via ordinaria.Ogni proroga dovrà essere motivata dal giudice con ordinanza, sulla base della complessità del processo, per questioni di fatto e di diritto e per numero delle parti. Contro l’ordinanza di proroga, sarà possibile presentare ricorso in Cassazione.

    I reati imprescrittibili

    Di norma, è prevista la possibilità di prorogare solo una volta il termine di durata massima del processo. Solo per alcuni gravi reati, è previsto un regime diverso: associazione di stampo mafioso, terrorismo, violenza sessuale e associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti. Per questi reati, non c’è un limite al numero di proroghe, che vanno però sempre motivate dal giudice sulla base della complessità concreta del processo. Per i reati con aggravante del metodo mafioso, le proroghe sono invece fino al massimo di due (sia in appello che in Cassazione).

    I reati puniti con l’ergastolo restano esclusi dalla disciplina dell’ improcedibilità.

    Dopo il 2024, la riforma della Giustizia va a regime
    In appello, i processi possono durare fino a due anni di base, più una proroga di un anno al massimo. In Cassazione, un anno di base, più una proroga di sei mesi. Binario sempre diverso, per reati di mafia, terrorismo, violenza sessuale e mafiosa, senza limiti di proroghe, ma sempre motivate dal giudice e sempre ricorribili per Cassazione. E poi è stato previsto un binario diverso per i reati con aggravante mafiosa (416bis .1/comma 1), con massimo due proroghe in appello (ciascuna di un anno e sempre motivata) e massimo due proroghe in Cassazione (ciascuna di sei mesi e sempre motivata).
    Osservatorio
    Si prevede che un apposito Comitato tecnico scientifico, istituito presso il ministero della Giustizia, ogni anno riferisca in ordine all’evoluzione dei dati sullo smaltimento dell’arretrato pendente e sui tempi di definizione dei processi. Il Comitato monitora l’andamento dei tempi nelle varie Corti d’appello e riferisce al ministero, per i provvedimenti necessari sul fronte dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi. I risultati del monitoraggio saranno trasmessi al Csm, per le valutazioni di competenza.

    https://www.ilfoglio.it/giustizia/2021/07/29/news/ecco-cosa-cambia-davvero-con-la-riforma-della-giustizia-2733287/

I commenti sono chiusi.