LA MAGISTRATURA COME LUIGI XVI

La vita è strana e, per certi versi, senza regole. Di solito chi chiede poco non ottiene niente. Chi chiede tutto ottiene poco, ma capita anche che chi chiede poco ottenga tutto. Perché a volte la controparte, resistendo al poco, alla fine è costretta a dare il tutto.
La Rivoluzione Francese è nata per chiedere una piccola cosa giusta: che il popolo, quello che faceva vivere nel lusso i nobili e gli alti prelati, negli Stati Generali contasse di più. Votando per “Stati”, infatti, era regolarmente messo in minoranza – due a uno – dalla nobiltà e dal clero. La sistemazione precedente discendeva da una concezione teologica del potere (“re per grazia di Dio”), mentre l’Illuminismo aveva già portato ad una concezione democratica del potere, che la nostra Costituzione esprime con le parole: “La sovranità appartiene al popolo”.
Ma Luigi XVI tutto questo non l’aveva capito e in quel momento nessuno metteva in discussione la monarchia. Nessuno voleva mettere in prigione o decapitare tutti, al minimo sospetto. Il Terrore non era nella mente di nessuno. Le basi teoriche della Rivoluzione erano liberali e tolleranti, e l’esempio concreto era il regime inglese, così ampiamente e giustamente lodato da Voltaire.
Se Luigi XVI avesse avuto l’intelligenza di capire che il suo tipo di governo era perento; se avesse avuto il polso necessario per imporsi ai passatisti; se non si fosse comportato come qualcuno che comunque aveva il coltello dalla parte del manico, fino a complottare (forse) con gli stranieri per abbattere la Rivoluzione, avrebbe conservato il trono e la testa. I rivoluzionari chiedevano un “poco” che in realtà era un “molto”, ma per averlo hanno dovuto ottenere “tutto”.
Questo genere di fenomeno ha due presupposti: che chi dovrebbe concedere “qualcosa” si creda talmente libero di concederla o di non concederla, da rischiare “tutto” convinto di non perdere “niente”. Se invece il contesto è differente, e chi chiede “qualcosa” in realtà potrebbe ottenere “tutto”, sarebbe intelligente, da parte del presunto forte, dire subito quel “sì” di cui la controparte è disposta ad accontentarsi.
Oggi in Italia si verifica qualcosa del genere, con la riforma della giustizia. Che cosa hanno chiesto gli italiani illuminati, nei molti decenni scorsi? Una giustizia più rapida, più efficiente e meno politicizzata. Francamente, non sono richieste assurde. Per esempio, la tanto discussa “separazione delle carriere” fra magistrati requirenti e magistrati giudicanti, è una riformetta da niente, a costo zero, e tuttavia i magistrati, contro venti e maree, hanno sempre detto no, sempre e soltanto no. Gli italiani hanno votato in massa per la responsabilità civile dei giudici (come sono responsabili tutti i professionisti) ma l’intero establishment si è opposto. I magistrati si sono sempre messi di traverso. Non soltanto hanno dimenticato che le leggi le fa il Parlamento, ma hanno dimenticato che tirando troppo la corda questa si spezza.
Ma pare che Giove renda pazzi quelli che vuol mandare in malora (“Quos Iuppiter perdere vult dementat prius”). E così ha fatto con i magistrati. Questi, a forza di credersi onnipotenti, hanno portato l’Italia agli ultimi posti, in materia di amministrazione della giustizia. Gli stranieri esitano a investire in Italia e l’andazzo ha creato un tale scandalo da indurre l’Europa a condannarci più di tutti gli altri per casi giudiziari, ed ora ad imporci una riforma come condizione per l’erogazione dei prestiti (contando per questo sulla serietà del nostro Presidente del Consiglio). Ma già molti italiani erano e sono per “qualunque riforma”, “una riforma purchessia”, “una riforma imperfetta, ma non nessuna riforma”. E Draghi conta anche su questo consenso popolare, per tirare diritto.
La riforma Cartabia ha dei limiti e degli inconvenienti. Ma se l’unico modo di riformare la giustizia, in Italia, è farlo in modo sommario e imperfetto, gettando il cuore oltre l’ostacolo, che lo si faccia. Come ha detto Marta Cartabia, “lo status quo non è un’opzione”. Scordatevi di ottenere modifiche che corrispondano ad annullare la riforma.
La miopia dei reazionari crea i giacobini. Ma dopo il Terrore arriva il Termidoro. Dunque sin dal giorno dopo in cui l’Italia avrà adottato la riforma Cartabia, ci si metta alacremente al lavoro per raccogliere i cocci e passare alla fase construens. Come sarà la giustizia riformata non lo sappiamo. Il tempo che ci vorrà non lo sappiamo. Ma è un’occasione per risolvere definitivamente questo problema e cominciare ad essere un Paese normale. Un Paese in cui persino i magistrati sono dichiarati esseri umani, a sangue caldo, con circolazione doppia e completa, fallibili e sanzionabili come lo sono tutti i professionisti. Forse con la sola differenza di essere più stimati degli altri, se lo meritano.
Quest’ultimo punto non deve sorprendere. La maggioranza dei magistrati è professionalmente e moralmente migliore dei magistrati che sono troppo spesso in vetrina. I magistrati ignoti meritano di essere il modello di chi porta quell’augusta toga. E, al contrario, certi nostri bramini sono divenuti francamente intollerabili.
L’indipendenza della magistratura, sacrosanto principio, non ne giustifica né l’impegno politico né lo straripamento di potere. Né l’arroganza.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
29 luglio 2021

LA MAGISTRATURA COME LUIGI XVIultima modifica: 2021-07-29T10:05:46+02:00da gianni.pardo
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Un pensiero su “LA MAGISTRATURA COME LUIGI XVI

  1. Con l’accordo raggiunto questa sera per i processi d’appello che comprendono reati con l’aggravante mafiosa ci saranno 6 anni di tempo. Per i processi per 416 bis e ter (associazione a delinquere di stampo mafioso) non è previsto alcun limite di tempo. E’ facile prevedere che con l’aggravante mafiosa avremo un aumento dei rinvii a giudizio.
    https://www.corriere.it/politica/21_luglio_29/riforma-giustizia-m5s-su-mafia-reati-connessi-non-si-transige-bf6a2324-f065-11eb-9f04-73cbb9ab1451.shtml

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