LA SUGGESTIONE AL POSTO DELLA REALTA’

In questi giorni, vedendo quanto la nazione fosse felice e rincuorata dal successo calcistico, sono stato quasi depresso. Per me non era accaduto praticamente niente, niente che mi facesse cambiare opinione sul futuro dell’Italia, e invece il giubilo era universale.
Certo, se in Italia si verificasse un evento veramente positivo – per esempio una seria, organica e radicale riforma della giustizia – non dico che scenderei in piazza a partecipare strombazzando ai caroselli di automobili, ma poco ci mancherebbe. Perché allora sì l’Italia avrebbe cambiato pagina.
Invece questo Paese è refrattario ai cambiamenti più della Chiesa Cattolica. Il Cattolicesimo, sotto la guida illuminata di Papa Francesco, a forza di modernizzarsi, si sta suicidando. L’Italia al contrario, pur avendo un estremo bisogno di modernizzarsi, rimane quella di sempre. Cambiano il folklore, le mode demenziali come la political correctness, l’inchino reverente dinanzi alle devianze sessuali, o la religione ecologica, ma per il resto, niente di sostanziale. Forse qualcuno riesce a credere che Draghi – anche perché tenuto sotto la pistola puntata dell’Europa – riuscirà a realizzare vere riforme. Personalmente ho grande stima di quell’omino asciutto, ma non riesco a credere ai miracoli. Augurarmeli è un conto, crederci un altro conto.
La Chiesa Cattolica riesce a scristianizzarsi perché la società si è già scristianizzata da sé. L’Italia invece non riesce a cambiare perché preferisce i propri pregiudizi a qualunque evidenza. E poiché quei pregiudizi sono di sinistra, e sono per giunta ammantati di moralità e di amore del popolo, nessuno riesce a smuoverli. Uno di questi è che i magistrati hanno sempre ragione. Un altro è che, punendo sempre di più, e mettendo sempre più gente in galera, si moralizzi la vita sociale. Come volete che si migliori la giustizia? Con queste premesse l’argomento diviene futile. E infatti lo abbandono per offrire due innegabili esempi dell’irragionevolezza della nostra nazione.
I sequestri di persona a fine di estorsione possono prosperare soltanto se chi è minacciato paga. Basterebbe che nessuno pagasse e quella piaga, ovunque, cesserebbe di esistere. Ma in ogni occasione ciascuno pensa al suo caso, paga e, mentre danneggia sé stesso, danneggia tutti. Essendo però stato danneggiato a sua volta da coloro che, prima di lui, nella sua stessa situazione, hanno pagato. Ora guardate all’Italia: non soltanto le istituzioni e le leggi non sono riuscite a impedire il pagamento dei riscatti, ma se un cittadino italiano viene sequestrato all’estero da banditi di qualsivoglia pelame, gli italiani si aspettano che – sia pure sottobanco, per pudore, ma queste cose poi si sanno eccome – l’Italia paghi e liberi il nostro concittadino. Sicché i cittadini italiani sono i preferiti, fra gli stranieri da sequestrare. È ragionevole, questo?
Altro esempio, almeno altrettanto doloroso e altrettanto irragionevole: i licenziamenti. Stabiliamo per cominciare un principio inconcusso e indiscutibile: un’impresa privata in tanto può operare in quanto i ricavi siano superiori alle spese. Lo Stato può tenere in vita una sua impresa anche in perdita (si pensi alla scuola) da un lato perché quella spesa è essenziale alla comunità, dall’altro e soprattutto perché lo Stato non è tenuto a bilanci di imprese in equilibrio, in quanto si finanzia (forzosamente) con le tasse. Ma un’impresa privata non può operare in perdita, se non temporaneamente. Se non con la precisa speranza di tornare in utile entro breve tempo. In tutti gli altri casi, quell’impresa, o almeno quel suo stabilimento, devono chiudere. Assolutamente. Non c’è alternativa.
E invece che cosa avviene, in Italia? Se l’impresa che arriva a questa situazione drammatica è piccola, diciamo con dieci dipendenti, immediatamente l’impresa chiude e i dieci dipendenti sono disoccupati. Magari senza nessun sussidio. Se invece l’impresa è grande, e i dipendenti sono migliaia (pensare all’Alitalia) il dogma è che l’impresa non deve chiudere, checché accada, e lo Stato deve intervenire ripianando il deficit, di tasca sua. Cioè nostra. E infatti per l’Alitalia lo Stato ha già sborsato più di quattordici miliardi di euro, nel tempo. Miliardi nostri, miliardi di tasse. Pensateci.
Oppure l’Italia interviene forzando in qualche modo l’impresa – soprattutto se è una multinazionale, con proventi all’estero – a mantenere l’attività produttiva. E dunque i posti di lavoro.
È una politica ragionevole? Si salvano centinaia di posti di lavoro, ma quante imprese straniere, avvertite di questo andazzo, si azzarderanno ad operare in Italia, con la prospettiva di doverci perdere miliardi? Se lo Stato italiano opera antieconomicamente, ed obbliga alcune imprese ad operare antieconomicamente, il risultato è che parecchie imprese, temendo di entrare in un Paese dove si opera antieconomicamente, e cioè perdendoci dei soldi, si guarderanno bene dall’investire nel nostro Paese. Cioè noi avremmo salvato duecento o trecento posti di lavoro esistenti, perdendone migliaia e migliaia che avremmo potuto avere, se l’Italia non si fosse fatta la fama di Paese assurdo e vagamente sovietico. Buonista a spese degli altri.
Ma in questo campo l’Italia qualcosa ha già fatto, molti anni fa: ha abolito il reato di blocco stradale. Prima i lavoratori e i sindacati rischiavano qualcosa, bloccando strade, autostrade e ferrovie, poi il reato è stato abolito, perché per i lavoratori, quello di danneggiare i concittadini e l’intero Paese, è un diritto. Sindacale.
Fermate la Terra, voglio scendere.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
22 luglio 2021

LA SUGGESTIONE AL POSTO DELLA REALTA’ultima modifica: 2021-07-22T12:21:33+02:00da gianni.pardo
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