IL VERO PAGAMENTO

In questo articolo(1) di Gerardo Coco, che io considero prezioso, c’è una frase che vale la pena di commentare: “Oggi i debiti possono essere solo trasferiti ma mai cancellati in via definitiva, salvo che per default”. Provo a spiegarla, non perché non l’abbia già fatto l’autore, ma per essere sicuro di aver capito bene. Infatti Coco introduce un concetto che mi mancava: quello di vero pagamento.
Immaginiamo che Tizio entri in un negozio e compri un bene. Prima di uscire passa alla cassa, consegna alcune banconote e così, avendo pagato, il contratto è completo. Ecco i passaggi: determinazione della merce, del prezzo, del modo di regolamento (per contanti) e di versamento di tali contanti. Ma questa visione è fallace. Perché questa è soltanto la visione giuridica della compravendita, mentre il percorso economico non è completo. Basta confrontare questo acquisto col baratto.
Tizio entra nel negozio con un tacchino vivo e chiede di avere un router per il suo pc. Il negoziate è disposto allo scambio ma il cliente fa notare che il tacchino vale più del router. E allora il negoziante gli offre in più un cavo HDMI. L’accordo è raggiunto, lo scambio viene effettuato, e non ci saranno ulteriori passi economici.
Se invece il cliente paga con delle banconote, bisogna chiedersi che cosa otterrà il negoziante, scambiando a sua volta quelle banconote. Infatti, finché non le usa, ha soltanto dei foglietti di carta. Mentre nel baratto si ha lo scambio di bene contro bene, nel pagamento con cartamoneta si ha lo scambio di bene contro promessa di bene. E lo scambio sarà completo, economicamente, quando la promessa sarà mantenuta.
Per cominciare, una promessa può essere mantenuta soltanto in parte. Nel nostro caso, se il negoziante prova a spendere quel denaro due anni dopo averlo ricevuto, e nel frattempo c’è stata un’inflazione annuale media del 12%, la promessa è mantenuta soltanto parzialmente. Infatti con cento euro comprerà beni per il valore di 78€. Ventidue euro saranno svaniti nel nulla.
Ma la cartamoneta è anche detta “biglietto di banca”, e le banche possono fallire (default). In questo caso la promessa non sarebbe mantenuta per niente e il negoziante avrebbe dato un bene in cambio di niente. Se lo Stato fallisce, la bella carrozza di Cenerentola ridiviene zucca. E la regolarità giuridica della compravendita si rivela economicamente una truffa.
È proprio per questa ragione che, in passato, si è sempre sognato di avere il gold standard, cioè la moneta aurea. Perché l’oro è un bene, non una promessa di bene. Ed è anche per questo che si è avuta la convertibilità. La Banca Nazionale diceva: “Circola carta, lo so, ma tengo io nei miei forzieri l’oro corrispondente. Quando vorrai, vieni da me e in cambio dei biglietti ti do oro”. Questa si chiamava convertibilità e, pace all’anima sua, è morta da decenni. Nessuno Stato se la può permettere, e si ricordi la fine degli accordi di Bretton Woods.
Gli Stati hanno visto che è molto più semplice imporre per legge la cartamoneta come valido mezzo di estinzione delle obbligazioni (circolazione forzosa) e tanto peggio per chi si vede svalutare il denaro che ha in mano, o per chi rimane totalmente defraudato nel caso di default della moneta nazionale. Questa è la situazione attuale.
Torniamo al problema del vero pagamento. Il contratto di compravendita è costituito dallo scambio di merce contro prezzo. Ma il prezzo – il pagamento in moneta – è soltanto un tramite. Il negoziante, accettando i biglietti di banca, è come se dicesse che con essi ha ottenuto il diritto di acquistare dei beni corrispondenti per valore a quelli che ha ceduto al compratore. L’iter del contratto, dal punto di vista economico, si completa quando effettivamente il negoziante, con quel denaro, acquista a sua volta dei beni.
Ma è importante anche considerare il periodo intercorrente fra il versamento del denaro e il suo effettivo uso da parte del prenditore (il negoziante, nel nostro esempio. Ma potrebbe essere chiunque, lo stipendiato, il pensionato, il libero professionista). Infatti questo denaro – fermo a metà strada tra l’acquisto dei biglietti di banca e il momento in cui si spendono – non tiene nel limbo per qualche giorno qualche piccola somma, ma miliardi e miliardi di euro per parecchi anni, fino al mezzo secolo. Denaro costituito dal risparmio dei cittadini, dai titoli di Stato detenuti dai singoli e dalle banche, e da mille altre forme di immobilizzazione in attesa di utilizzo.
Durante tutto questo tempo il denaro non è né un bene né una spesa, è soltanto una possibilità di spesa. Per esprimerci aristotelicamente, nel momento in cui si spende, il denaro è in atto; nel momento in cui si ha il denaro, ma non lo si spende, abbiamo il denaro in potenza.
Nella realtà, mentre il denaro che effettivamente si utilizza è, poniamo, cento, il denaro in potenza, immobilizzato in titoli, azioni, depositi, ecc., corrisponde ad almeno 300. E questo non a livello nazionale (per esempio in Italia) ma a livello mondiale. Il che corrisponde a dire che se, improvvisamente, per qualche ragione, tutto il denaro mondiale si riversasse sul mercato, con lo scopo di “incarnarsi” in beni, di fatto i detentori di quel denaro non potrebbero comprare che una piccola percentuale di ciò che esso rappresenta.
Prendiamo il debito pubblico italiano. Sono circa 2.600 miliardi di euro. Ammettendo che gli italiani siano sessanta milioni, dividendo il debito per i cittadini significa che ognuno di loro ha un debito di 43.333€, 173.000€ per una famiglia di quattro persone. È ovvio che, se si arrivasse allo show down, i cittadini non potrebbero mai pagare, tutti, una simile somma. E sarebbe il default nazionale. Ma c’è di peggio.
Ammettiamo per ipotesi che, invece di essere debitori di quella somma, i cittadini siano creditori della somma. Sembra quasi una favola e tuttavia, se ogni famiglia disponesse di circa duecentomila euro da spendere, che cosa potrebbe comprare, se i beni sono quelli di prima e tutti hanno duecentomila euro in più da spendere? La semplice comparsa di quel denaro sul mercato provocherebbe un’inflazione mostruosa che di fatto azzererebbe il valore del denaro.
Ed ecco la tesi di Coco. In questo momento, considerando l’eccesso di denaro “stampato” rispetto a quello realmente utile per gli scambi, siamo in una condizione che, tempo fa, io ho definito “inflazione congelata”. Un’inflazione talmente grande da essere certi, come è Coco, che la promessa costituita dalla cartamoneta non può essere mantenuta.
Ecco che significa che “i debiti possono essere trasferiti, mai saldati”. Nel momento in cui A compra qualcosa da B, ottiene un bene ma dà in cambio una promessa che non può essere mantenuta. Tuttavia nel frattempo quella “promessa che non può essere mantenuta”, mentre prima era nelle mani del compratore, ora è nelle mani del venditore. Prima chi rischiava di rimanere con un palmo di naso era il compratore, che aveva in mano “una promessa che non può essere mantenuta”; dopo, avendo comprato qualcosa e avendo dato quel denaro al venditore, è il venditore che si è visto passare la promessa, cioè quel debito che lo Stato non potrà mai onorare.
Così, finché non avviene lo show down, cioè il momento in cui tutti constatano che quella promessa non può essere mantenuta, beato chi con quei pezzi ci carta ha acquistato beni. Perché gli altri, i detentori di denaro, nel momento in cui tutti volessero utilizzare quelle “promesse”, di fatto non potrebbero acquistare niente.
Sostiene dunque Coco che, attualmente, noi non paghiamo un bene con un bene (la vera sostanza dello scambio) ma un bene con una promessa che non può essere mantenuta. Dunque condanniamo l’ultimo prenditore, al momento della crisi, a pagare per tutti gli imbrogli precedenti. Quelli che avranno cartamoneta, o conti bancari attivi, si ritroveranno con un pugno di mosche. Sarà – come dice Coco – il momento in cui si cesserà di trasferire il debito, si dichiarerà il fallimento nazionale, e si rimetterà il contatore a zero.
L’operazione non sarà indolore. Posso garantirlo.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
12 luglio 2021

(1)FUTURO CON INFLAZIONE, DEFLAZIONE O IPERINFLAZIONE?

Negli ultimi mesi si è tornato a parlare di inflazione. Dopotutto è un fenomeno praticamente assente dalla crisi del 2008, anno in cui è iniziata la deflazione dopo un periodo inflazionistico di settant’anni anni. Gli analisti hanno ravvisato le fonti della crescita dei prezzi nella scarsità di alcuni prodotti dovuta ai blocchi covid-19 e nella ripresa della domanda. Si tratta di capire se il fenomeno è transitorio o sistemico come quello che provocò l’Opec nel 1973 creando, con la crisi energetica, inflazione per tutto ciò che si basava sul petrolio a buon mercato, dalla produzione di automobili alla plastica. La questione è rilevante ai fini delle politiche monetarie: in caso di forte e persistente rialzo dei prezzi le banche centrali per compensarlo, dovrebbero aumentare i tassi di interessi.
Ripassiamo intanto il concetto di inflazione. Di solito il fenomeno è definito come aumento dei prezzi. Tuttavia i prezzi possono aumentare anche per motivi diversi dall’inflazione. Possono ad esempio salire a causa della scarsità dell’offerta rispetto alla domanda come nel caso dei blocchi, che per noi non segnala l’inflazione vera e propria. Cosa si intende allora per inflazione? Secondo la memorabile citazione di Milton Friedman “L’inflazione è sempre e ovunque un fenomeno monetario, risultante e accompagnato da un aumento della quantità di moneta rispetto alla produzione…. Ne consegue che l’unico modo efficace per fermare l’inflazione è frenare il tasso di crescita della quantità di moneta”. L’inflazione vera e propria è dunque l’aumento dei prezzi generalizzato causato da fattori monetari e non da fattori reali come l’interazione tra domanda e offerta. L’inflazione pertanto è la svalutazione dell’unità monetaria.
Tutto ciò era di immediata evidenza quando il denaro era rappresentato da metalli preziosi. All’epoca romana gli imperatori coniavano più monete diminuendone il contenuto d’argento. Con più monete dello stesso valore nominale in circolazione, il governo poteva aumentare la spesa pubblica ma svilendole sempre di più nel corso degli anni innescò un’inflazione galoppante per cui i soldati richiesero salari più alti man mano che la qualità del denaro diminuiva. Per aumentare le entrate della Corona inglese a spese dei contribuenti, Enrico VIII, nel 1544, svalutò il penny sostituendo il novanta per cento del contenuto d’argento con il rame. Comprensibilmente, il sovrano inglese fu soprannominato “Vecchio naso di rame” (Old coppernose) avendo l’usura, eliminato il sottile strato d’argento e rivelato la sua effige di rame. In una circolazione metallica, lo svilimento monetario, cioè l’inflazione che si manifesta subito come aumento dei prezzi, può essere definito come incremento della quantità di moneta circolante superiore a quello di estrazione dell’oro o dell’argento.
Come mai allora gli stimoli di trilioni emessi dalle banche centrali in questi ultimi anni non si sono mai tradotti in aumenti di prezzo? Perché, affinché ciò si verifichi occorre che l’eccesso di denaro venga effettivamente speso. E perché non è stato speso? Perché l’ambiente monetario contemporaneo tende a generare il fenomeno opposto all’inflazione: la deflazione, che significa contrazione della spesa aggregata. Tale singolarità si spiega col fatto che le odierne valute, fondamentalmente, rappresentano prestiti ai governi. L’emissione di denaro avviene infatti a fronte dell’acquisto di obbligazioni sovrane da parte delle banche centrali. Tali prestiti irredimibili in quanto i governi non hanno né i mezzi né l’intenzione di ripagarli, circolano in forma di unità valutarie al posto delle unità di ricchezza rappresentata dai metalli preziosi. Ovvio che tale mutazione del sistema monetario non poteva avvenire senza fatali conseguenze.
La prima conseguenza è stata che il denaro che circola nell’economia come promessa di pagamento irredimibile al posto di ricchezza, non è più in grado di estinguere in via definitiva alcun debito. Per capire la l’importanza della redimibilità dei debiti, ipotizziamo che Tizio prenda in prestito zucchero dal vicino Caio. Per ripagare Caio, Tizio va al supermercato, compra lo zucchero e lo restituisce. Quindi non solo Caio viene ripagato ma anche il debito in zucchero viene estinto. Una volta prendere in prestito denaro era come prendere in prestito lo zucchero Il rimborso del debito in preziosi o strumenti di credito in essi convertibili a richiesta, restituiva il prestito cancellando il debito. Oggi i debiti possono essere solo trasferiti ma mai cancellati in via definitiva, salvo che per default. Le valute attuali non rappresentano pagamento finale come oro e argento ma promesse di pagamento di debiti che i governi non rispetteranno mai. Pertanto senza un mezzo di pagamento definitivo, il debito può solo aumentare mai diminuire, perché gli interessi maturano costantemente.
Non avendo ancora compreso tutto questo, gli accademici e gli economisti di regime si stupiscono ancora del fatto che l’economia, in tutti questi anni, nonostante gli enormi stimoli monetari, abbia ristagnato nella deflazione. Ma questa è conseguenza proprio degli stimoli che rappresentano il debito irredimibile che aumentando il costo dei governi, rendono inevitabile la tassazione che riduce la crescita economica e quindi la spesa aggregata. Così, sebbene l’aggregato monetario sia aumentato come conseguenza del debito crescente, non si è mai tradotto in aumenti di prezzi dal momento che ha ridotto il reddito disponibile della collettività e quindi anche la sua spesa. In tale contesto la riduzione dei tassi di interesse per incoraggiare le persone a indebitarsi è stata dannosa in quanto beneficiando solo i governi, che sono i principali debitori dell’economia, ha aggravato la spirale deflazionistica. Pertanto nessun ulteriore stimolo monetario può invertire la tendenza ma solo peggiorarla. Le persone non si indebiteranno e non spenderanno denaro senza fiducia nel futuro ma lo accumuleranno per far fronte all’incertezza. Questi sono i motivi per cui il quantitative easing, che secondo gli accademici avrebbe dovuto stimolare crescita e inflazione, è stato un fiasco storico.
Resta da capire cosa riserva il futuro. Fintantoché l’eccesso di debito sopprime la crescita economica il potenziale deflazionistico rimarrà alto, la domanda aggregata bassa e non in grado di stimolare l’inflazione nè i tassi di interesse a medio termine. Si è di fronte a un problema strutturale che rende l’economia fortemente instabile e senza via d’uscita a meno che non trovi sfogo in una crisi epica, questa volta nella forma di un crollo di fiducia definitivo dell’opinione pubblica nell’operato dei governi. Quando ciò avverrà allora sì che si metterà in moto l’inflazione, anzi l’iperinflazione che comporterà però la distruzione dell’attuale abominevole sistema monetario. I tempi di questo evento non sono poi così lontani, per cui ci si regoli di conseguenza.
Gerardo Coco

IL VERO PAGAMENTOultima modifica: 2021-07-13T12:50:30+02:00da gianni.pardo
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3 pensieri su “IL VERO PAGAMENTO

  1. “It is well enough that people of the nation do not understand our banking and monetary system, for if they did, I believe there would be a revolution before tomorrow morning.” Henry Ford

  2. Direi proprio di sì, lasciando sul. conto ciò che può servire per un’emergenza. Non certo per il futuro dei figli, per una crociera che contiamo di fare tra dieci anni ecc.

  3. egregio dr Pardo, è la frase conclusiva di G. Coco che mi preoccupa : “I tempi di questo evento non sono poi così lontani, per cui ci si regoli di conseguenza.”
    dunque chi possiede danaro in banca (in qualsiasi forma) come si deve regolare ?
    affrettarsi a spenderlo tutto, o quasi, acquistando beni reali, cioè beni “mobili” o “immobili” oppure oro ? o quanto meno spenderlo in vacanze, crociere, pranzi, divertimenti e altri “servizi” ?

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