CINQUANTANOVE IMPUTATI

Che cos’è la responsabilità penale? È il fatto di rimproverare qualcuno per un evento lesivo. Se un uomo ne ammazza un altro, gli si può dire: “Se tu non l’avessi accoltellato, sarebbe ancora vivo”. Lo schema è elementare. Ma questa chiarezza si attenua e si offusca quanto più sono numerosi i presunti colpevoli. Perché alla fine si rischia di non sapere chi sia il reo, o di dar luogo ad una caccia alle streghe. Nel caso dell’accoltellamento potremmo rimproverare il fabbricante del coltello, la moglie che lo teneva in cucina, il medico che non ha denunciato in tempo la fragilità mentale dell’omicida, i carabinieri che non sorvegliavano adeguatamente il territorio, e chissà chi altri ancora. E purtroppo questo avviene.
Cinquantanove persone per un solo crollo, quello del ponte “Morandi”, sono troppe. Soprattutto considerando che quel ponte era “a scadenza”, e questa scadenza si era già avuta decenni fa. Il cemento armato non è per l’eternità. Se il Colosseo fosse stato costruito con questa tecnica, da molto tempo non sarebbe più lì.
A me risulta che la società che aveva in carico il ponte aveva ripetutamente implorato il Ministero di permettere la messa in sicurezza dei tiranti di quel tratto di impalcato, come si era fatto altrove. Non basterebbe per scagionare la società, che per giunta aveva programmato quella messa in sicurezza per settembre, malgrado il silenzio del Ministero? Purtroppo il crollo è avvenuto in agosto, ma certo a me il Ministero sembra più colpevole della società. Non doveva pagare, non doveva operare concretamente, doveva dire di sì. E non l’ha detto.
I giudici potrebbero dire: se il ponte non era sicuro, bastava chiuderlo. “Bastava chiuderlo”? Nessuno ricorda come è vissuta Genova nei giorni successivi al disastro? Il problema della circolazione derivato dal venir meno di quell’arteria fu drammatico. Di questo passo, si potrebbe anche chiudere l’Autostrada del Sole per il tempo necessario a ricostruire le decine di ponti e viadotti che il tempo ha reso obsoleti. Ma l’Italia riuscirebbe a fare a meno di quell’autostrada per i tempi che richiedono da noi i lavori pubblici? I giudici possono dire “fiat iustitia et pereat mundus”, ma i politici non possono dirlo. Perché se il mondo perisce è con loro che se la prendono i cittadini.
Il crollo del Ponte Morandi è soltanto il sintomo del nostro Paese com’è. I nostri “ritardi” sono tali da non essere più ritardi ma normalità. È un principio generale.
Ecco un esempio fin troppo facile. In magistratura si fa carriera per due motivi: perché si è bravi e perché si è raccomandati. E speriamo che la seconda condizione non sia più importante della prima. Ecco perché il silenzio che copre lo scandalo (enorme) del sistema Palamara non stupisce. Dura da tanto tempo, essendo noto a tutti, che scandalizzarsene corrisponderebbe a un atto di suprema ipocrisia. Se i primi ambiziosi saranno stati troppo disinvolti, nello scalare gli alti gradi, in seguito, da molti decenni, tutti coloro che sono entrati in magistratura hanno trovato il sistema installato e funzionante. Senza eccezioni. Ed ovviamente l’hanno trovato naturale. Nessun pesce, dopo essere nato, dice agli altri pesci: “Toh, nuotate?”
Se un magistrato è bravo, è un gran lavoratore, è onesto ma non è raccomandato, non ottiene le cariche di massimo prestigio e si vede sorpassare da colleghi meno validi di lui. Non è umano che molti non siano capaci di questa dirittura morale, di questo luciferino orgoglio, di questa eroica superiorità al normale interesse personale?
I cinquantanove rinviati a giudizio avranno tutti, probabilmente, la stessa scusa: “Quando sono arrivato io ho trovato la situazione degradata. Ho fatto il possibile, ma il sistema era troppo vischioso e non mi ha dato ascolto”. Un scusa infondata? Non direi.
Molti anni fa, seppi di una teoria penalistica interessante, quella della “azione socialmente adeguata”. Se in una società un’azione (percuotere i figli per educarli) viene ritenuta normale, o addirittura lodevole, non può costituire reato. Se la sensibilità cambia, guai a chi tocca i figli, il padre rischia anche la galera. Quale delle due società ha ragione, quale torto?
In realtà è soltanto questione di costumi. Tutto dipende da come la pensa, in un dato momento storico, la maggior parte dei membri di una società. Nella Roma arcaica il padre aveva diritto di vita e di morte sui figli e certo non andremo ad insegnare il diritto ai romani. Stiamo parlando di duemilacinquecento anni fa, ma disponiamo di esempi più recenti.
Quando si è costruito l’impianto siderurgico dell’Ilva lo si è costruito con altra mentalità, pensando ad altri parametri, non preoccupandosi di problemi che oggi sembrano tremendi e sul momento sembravano futili o impensabili. La stessa gente ha fabbricato le case quanto più vicino era possibile agli impianti, per fare meno strada, senza pensare a quei possibili danni su cui ormai da anni si arrovella l’Italia. Ora si fanno processi su processi, si elaborano piani su piani, si cercano colpevoli a destra e a manca, all’occasione spargendo come coriandoli decenni di anni di carcere, senza pensare ad una cosa semplicissima: che quando l’acciaieria è stata progettata, progettarla lì, con quelle caratteristiche, era un’azione adeguata a risolvere i problemi della siderurgia e dell’occupazione; mentre oggi tutto è cambiato e il problema, come è posto, è diventato insolubile. Non si vuole l’acciaieria, non si vogliono i disoccupati, non si vogliono pagare in aeternum diecimila operai perché si girino i pollici e non si sa che altra soluzione adottare. Rimettiamo il calendario indietro di non so quanti decenni e ricominciamo tutto daccapo? E poi: non è bastato condannare ad anni ed anni di carcere alcuni dirigenti? Che altro si vuole? Se i problemi non li risolve il carcere (una sorta di toccasana, per la morale nazionale) chi volete che li risolva?
Tornando al “Morandi”, come possiamo rimproverare a 59 persone un fatto che, teoricamente, si potrebbe, si dovrebbe verificare per la maggior parte dei ponti e dei viadotti italiani? Che facciamo, chiudiamo improvvisamente tutta l’Italia? O condanniamo penalmente, post mortem, tutti coloro che per mezzo secolo non hanno provveduto a distruggerli e rifarli, quei manufatti?
Non vorrei essere nei panni dei giudici di Genova. Non vorrei essere nei panni dei funzionari del Ministero, della Società Autostrade, e forse non vorrei nemmeno essere nei panni di un cittadino italiano.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com
25 giugno 2021

CINQUANTANOVE IMPUTATIultima modifica: 2021-06-27T13:00:10+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “CINQUANTANOVE IMPUTATI

I commenti sono chiusi.