E NETANYAHU NON È NEANCHE ARISTIDE

Israele ha cambiato governo e, dopo dodici anni, Benyamin Netanyahu è all’opposizione. Gli israeliani – a giudicare dai festeggiamenti – sembrano felici di essersi liberati di lui. Anche se “liberati” è un verbo ottimistico: basti dire che il nuovo governo ha avuto la fiducia per sessanta voti contro cinquantanove e pare che, per votare una legge, siano necessari la metà più uno degli eletti, che sono 120. Dunque sono necessari 61 voti. E dove lo trovano il sessantunesimo? Sempre che io abbia capito bene.
Ci si potrebbe chiedere quale sia la colpa di Netanyahu e ovviamente i giornali di tutto il mondo ce lo spiegano, a modo loro. Ma credo che in sostanza, come dicono i francesi, gli israeliani si siano stancati di “vedere il suo naso in mezzo alla sua faccia”. Dodici anni in politica sono una eternità. Forse un paio di eternità. Dunque non c’è da meravigliarsi. Dopo tanto tempo ci si convince che se in inverno fa troppo freddo e in estate fa troppo caldo, la colpa è di quel signore lì.
Narra Plutarco che Aristide aveva tale fama di persona perbene che era addirittura soprannominato “il Giusto”. Quando poi Atene decise di mandarlo in esilio, con la procedura dell’ostracismo, un analfabeta chiese a uno dei presenti di scrivere sull’ostrakon il suo nome e il caso volle che quell’uomo fosse proprio Aristide. Questi si apprestò gentilmente a scrivere il proprio nome ma prima chiese: “Perché vuoi che vada in esilio?” “Perché, rispose l’uomo, sono stanco di sentirlo chiamare il Giusto, di sentirne dir bene”.
Si direbbe che in Grecia sia successo tutto quello che doveva succedere, per capire l’umanità e la politica. Gli ebrei si stufarono della manna e gli ateniesi di Aristide. E tuttavia non dobbiamo lamentarci. Se occasionalmente, con la democrazia, ci si libera di una persona, magari positiva, soltanto perché la si è vista per troppo tempo (è successo anche con Churchill), più spesso con la democrazia ci si libera con essa di una persona negativa che, senza quel regime, non lascerebbe certo il campo.
Nel caso attuale, per giunta, non si può dire che Netanyahu sia stato “Giusto” come Aristide. Questo lo stabiliranno il tempo e la storia. Ma il fenomeno è caratteristico della natura umana. Per buttarlo fuori si sono alleati tutti, anche il diavolo e l’acqua santa, e tutto questo perché? Secondo me, quasi per niente. Infatti la politica di Israele è talmente determinata dalla necessità che chiunque sia al governo può fare ben poco di diverso rispetto ai suoi predecessori. A Gerusalemme neanche il ministro Alfonso Bonafede riuscirebbe a far danni.
Israele è figlia della Shoah. Quell’infelice episodio ha vaccinato per sempre gli israeliti contro ogni forma di ottimismo, di fede nella solidarietà umana, di fiducia nella razionalità. Essi sanno che in natura sopravvive chi impedisce agli altri di ucciderlo; e chi, a questo scopo, è disposto ad uccidere a sua volta. Non è Gerusalemme, con la sua Knesset (il Parlamento) che sostiene Tsahal (l’esercito), è Tsahal che fa vivere Gerusalemme. Se domani non ci fosse più Tsahal, gli arabi sterminerebbero gli ebrei e il mondo direbbe “Ohibò”. Nulla di più.
Ecco perché l’opinione pubblica internazionale, i vicini di casa di Israele, l’Onu e tutto il resto dei chiacchieroni non contano niente, da quelle parti. Il mondo non è capace di difendere Israele e dunque non ha titolo per darle ordini. E, a proposito, se qualcuno volesse sapere come mai l’Iran, così grande, popoloso e aggressivo, non attacca Israele, la risposta è semplice: forse vincerebbe, ma il prezzo sarebbe così alto da costituire la più grande catastrofe della storia. Nel senso che Gerusalemme, prima di morire, ucciderebbe non so quanti milioni di iraniani, lasciando contaminati dalle bombe nucleari tutti i sopravvissuti. All’Iran andrebbe come alle api che possono pungere e far male, ma l’espulsione del pungiglione gli costa la vita.
Un Paese che sopravvive in base a questa filosofia non ha molte variabili, al suo arco di comportamenti. Se necessario sarà sempre capace di dire rotondi “no” anche a Washington, semplicemente perché l’alternativa, che a Washington lo capiscano o no, per gli israeliani è la morte. Non quella simbolica, quella nelle camere a gas. Ed è bastata una volta.
Israele è la versione potenziale, aggiornata e resa stabile, della resistenza del Ghetto di Varsavia. Se l’alternativa è la morte con un veleno per derattizzazioni, meglio morire con le armi in pugno. Nelo stemma nazionale iraeliano ci dovrebbe essere quella frase che divenne famosa dopo la Seconda Guerra Mondiale: “Uccidere gli ebrei non è più gratuito”.
Gianni Pardo, giannipardo1@myblog.it
15 giugno 2021

E NETANYAHU NON È NEANCHE ARISTIDEultima modifica: 2021-06-15T08:11:28+02:00da gianni.pardo
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