PESSIMISMO E FELICITA’

La maggior parte degli uomini non considera il punto di vista altrui. Parte dal proprio io. Considera ovvio il suo metro e sulla base di esso pesa il mondo. Ecco perché, pressoché naturalmente, tutti stabiliamo un collegamento tra le idee di una persona e la sua vita. Se qualcuno parla sempre male delle donne, si può ragionevolmente presumere che non abbia avuto con loro molti successi e molte occasioni di felicità.
Ma non bisogna generalizzare. Ed è appellandomi a questa eccezione, che terrei a far sapere agli amici un dato che mi riguarda, non tanto perché io sia un argomento interessante, quanto per giudicare ciò che dico con maggiore obiettività.
Quando scrivo di politica, di economia, e in generale del comportamento degli uomini, sono di un tale pessimismo che qualcuno potrebbe pensare: “Questo Pardo deve avere preso tante di quelle bastonate sul muso, che non la smette mai di sputare sull’umanità. Magari esorcizza con questo pessimismo il suo personale fallimento”.
Invece no, tengo a dire che io sono pessimista per le vicende umane in generale, ma ottimista per quanto riguarda me stesso. E questo benché nella vita non abbia combinato niente. Caso che potrebbe trascendere la mia persona.
Prima dei vent’anni m’è andata veramente male. Il disadattamento, la solitudine, l’incomprensione, una pena di vivere che non auguro a nessuno sono stati i miei compagni quotidiani. Tra i miei sedici e i miei vent’anni ho sofferto talmente, che da allora ho sempre avuto l’impressione che tutto andasse bene. M’è bastato paragonare il presente alla mia adolescenza.
Mi sono perfino accorto di essere ottimista per temperamento. Immagino sempre che tutto finirà bene, che me la caverò, che fra le due ipotesi si realizzerà quella favorevole. E la maggior parte delle volte la vita mi ha dato ragione.
Per quanto riguarda la realtà in generale non sono pessimista per vezzo, ma per realismo. Per esempio, essendo frugale per temperamento, mi sento ricco con una pensioncina di professore. Ma se si tratta della società, metto il denaro al primo posto o quasi perché così lo considerano tanti. Perché è la Stella Polare di buona parte dei problemi personali e sociali. E ciò anche in dipendenza del fatto che molta gente si amministra male e finisce col rincorrere la propria economia, invece di farsene servire.
Questo non per parlare di me, ma per scindere le esperienze personali dal metro con cui giudico il mondo. Altro esempio. Io voglio che la mia parola valga oro, e mantengo sempre le promesse, nel bene come nel male (nel senso che sono capace sia di vendetta sia di gratitudine eterna). Ed ho anche avuto la fortuna di avere amici allo stesso livello. Ma se si parla delle promesse fra gli altri esseri umani in generale, o delle promesse dei politici, e perfino delle alleanze fra Stati, mi metto a ridere. Valgono già abbastanza poco i contratti firmati dinanzi al notaio, figurarsi le promesse. Ecco un classico double standard di ottimismo e pessimismo.
E tutto ciò mi conduce a parlare della felicità.
Per prima cosa devo dire che non intendo per felicità quello strabocchevole sentimento di gaudio che si sperimenta qualche volta nella vita. La felicità è un costante sentimento di serenità, di armonia con sé stessi, con il prossimo (per cominciare in famiglia) e l’assenza di serie cause di dolore.
Ecco perché bisogna sgombrare il terreno dal facile ottimismo dei superficiali. Ci sono situazioni rispetto alle quali non c’è saggezza che tenga. Penso a chi è malato per morire, a chi soffre fisicamente, a chi ha perso recentemente una persona cara, a chi ha perduto il lavoro e non ne trova un altro, a chi teme un’ingiusta condanna penale, e a chi ha un figlio drogato che rischia di ammazzarsi o di finire in galera. Gli esempi sono molti. Ma di molto più numerosi sono i casi di coloro che hanno il necessario per essere felici e non lo sono.
La prima condizione per essere felici è rendersi conto che si ha l’essenziale per essere felici. Un vecchio ha normalmente i suoi guai fisici e la scomoda coscienza di avere poco tempo da vivere. Ma se non sapesse essere felice nel tempo che gli rimane, non subirebbe una perdita secca?
Non sono d’accordo con Agostino quando scrive: “Noli foras ire. In interiore homine habitat veritas” (non uscire, la verità si trova nell’interno dell’uomo). Questo mi sembra un platonismo ingenuo. Ma cambierei la sua frase così: “In interiore homine habitat gaudium”, la felicità sta nel nostro cuore, se riusciamo a trovarla. Se siamo capaci di essere felici, avendo le gambe storte, del fatto che tuttavia ci portano ancora in giro. Mentre altri sono storpi o devono essere spinti in carrozzella. E come non essere felice di sapere che ho amici che correrebbero per darmi aiuto, disinteressatamente, come io correrei per dar loro aiuto, nei limiti delle mie possibilità? E non è una bellissima contraddizione con la miseria umana corrente, questa? E non parlo per pudore dei miei rapporti coniugali.
Viva la vita, viva l’amore, viva gli amici. Sentir dire male dell’amicizia quasi mi offende. Quale denaro mai potrebbe procurarmi questi balsami? Se fossi miliardario mi chiederei: vengono a trovarmi perché gli sto simpatico o perché ho una piscina riscaldata? Invece, se non sono nessuno, chi mi sorride, sorride a me e basta.
Io non ho bisogno di denaro, io ho bisogno di musica, di cioccolato, di poesia, di pace. Dietro la mia porta dovrei appendere stabilmente il cartello “Do not disturb”.
Gianni Pardo giannipardo1@gmail.com
18. aprile 2021

PESSIMISMO E FELICITA’ultima modifica: 2021-06-11T12:00:55+02:00da gianni.pardo
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