LA VOLONTÀ
D
’ESSERE
INTELLIGENTI


Se qualcuno dichiarasse che
vuole essere intelligente, farebbe un po’ ridere: tutti sanno che l’intelligenza
è un dono di natura. “Voler essere intelligente” suona come “voler essere alti”
oppure come “voler vivere fino a cent’anni”. E tuttavia l’intelligenza, pur
essendo una qualità innata, ha un rendimento variabile secondo gli studi che
l’hanno coltivata e secondo la maggiore o minore volontà di
usarla.


L’intelletto funziona
egregiamente  quando non ci sono
interferenze. Se uno psicologo esamina un giovane fornirà poi dei dati
accettabili sulle caratteristiche della sua personalità. Ma se quel giovane
fosse suo figlio, chi può essere sicuro che direbbe esattamente le stesse cose,
soprattutto se fossero negative? Eppure lo psicologo è lo stesso, la sua
preparazione è la stessa, le sue capacità sono le stesse.


Ogni volta che la realtà ci
offre un dato, e sentiamo un contrasto fra ciò che vorremmo che fosse e ciò che
sembra sia, se sceglieremo la prima versione saremo più consolati, se
sceglieremo la seconda conosceremo meglio la verità. Ecco in che senso la
comprensione è anche un atto di volontà. Friedrich Nietzsche sintetizza il
problema sparando come una fucilata questa domanda: “Fin dove osi
pensare?”


L’intelligenza è non
raramente frenata dagli affetti, dal pregiudizio, dal sentimento del dovere, dal
fanatismo, dagli imperativi dell’onore e da molti altri moventi. La lista
comprende pulsioni di ben diverso valore morale o intellettuale, proprio perché
qui non si vogliono giudicare le ragioni per cui, invece d’avere coraggio, si
sceglie la verità preferita: si vuole soltanto sottolineare che se si cede a
motivi diversi dal puro amore del conoscere, ci si comporta come se si fosse
poco intelligenti.


Secondo le norme del
Bushido, il Samurai deve fedeltà al proprio signore anche se questo dovesse
costargli la vita e, a più forte ragione, anche se in una data occasione il suo
signore si comportasse male. Si faccia allora l’ipotesi che questo signore
ordini ai suoi servi di rapire una fanciulla che intende violentare, e si faccia
l’ipotesi che i fratelli della giovane cerchino di difenderla. Il Samurai dovrà
ucciderli? In questo caso il giuramento prestato gli direbbe che egli deve
essere un docile esecutore dei desideri del suo padrone mentre la sua
intelligenza gli direbbe che quegli impegni stanno facendo di lui uno strumento
privo di volontà nelle mani di un malfattore: in totale un criminale e uno
sciocco. Il Bushido gli offre come alternativa la triste soluzione del seppuku,
del suicidio rituale, ma la sua intelligenza non potrebbe dirgli che è il
momento di  salvare la sua moralità
e anche la sua vita? Fin dove oserebbe pensare, il
Samurai?


I casi ipotizzabili sono
innumerevoli. Come deve comportarsi, un cardinale che perda la Fede? Dovrà dirlo in pubblico
e togliersi l’abito talare, provocando uno scandalo nella Chiesa, o dovrà
continuare a toccare le ostie con mani sacrileghe, a dire parole che ormai crede
false, a dirigere, lui miscredente, dei religiosi credenti? Dovrà insomma vivere
nella menzogna e nell’ipocrisia o accettare la realtà di cui lo ha convinto la
sua mente, malgrado il danno che ne avrebbero la Chiesa e lui
stesso?


Per fortuna la maggior
parte degli uomini non si trova ad affrontare questi terribili drammi:  ma tutti abbiamo quotidianamente sotto
gli occhi la costante dicotomia fra la fredda comprensione intellettuale e la
partecipazione emotiva alla realtà. Nel dibattito politico i nostri hanno
costantemente ragione e gli altri hanno costantemente torto, negli stadi i
tifosi delle due squadre vedono due partite diverse, nel mondo un po’ tutti
siamo lontani dall’avere il coraggio di accettare il messaggio della realtà
neutrale.


L’intelligenza richiede un
grande coraggio e una grande volontà. Ecco perché può dirsi che moltissima gente
sembra meno intelligente di quanto in realtà non sia. Ha semplicemente scelto la
via più comoda, la via suggerita dalla propria affettività. La via della
stupidità.


Gianni Pardo,
giannipardo@libero.it


1 aprile
2009

ultima modifica: 2009-04-01T14:48:46+02:00da Giannipardo
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4 pensieri su “

  1. Ma, cara Nadia, lei non ha niente di cui scusarsi. Forse mi ha scritto la stessa Piera, che voleva sapere che cosa ne pensassi. Ed io le ho risposto volentieri: non ho alcuna ragione di evitare il dialogo. Anche se, purtroppo – lei mi conosce – ho difficoltà a comprendere il punto di vista di chi crede in cose in cui io sono molto lontano dal credere. Per dirne una, un adepto dell’omeopatia.

  2. No Gianni, io non le avevo mandato niente. Almeno per me, non ci sono problemi, probabilmente questa Piera (che non conosco) avrà sbagliato. Mi scusi.
    Comunque è stata un’occasione per risentirci.
    Un caro saluto. Nadia

  3. Il testo di una signora di nome Piera, a proposito di orbs, comparso sul suo blog (suo di lei, Nadia). Pensavo me l’avesse mandato lei, e per questo ho risposto. In quella sede. Diversamente non so chi me l’abbia fatto avere.

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