EZIO MAURO POLITOLOGO


Ezio
Mauro, direttore di “Repubblica”, commenta il congresso del Pdl con concetti che
inducono a qualche riflessione. Egli accusa il “
paesaggio
politico e retorico attorno al Cavaliere di rimanere immobile, tutto ideologico
come nel ‘94”, e la cosa lascia perplessi. Il mondo
di Berlusconi tutto era sembrato, salvo che ideologico. Il suo movimento è stato
definito senza idee, un “partito di plastica”, un “partito azienda”, e, secondo
le parole di Prodi, “il puro nulla”. Come potrebbe improvvisamente essere
divenuto “tutto ideologico”, e addirittura risalire, in quanto tale, al
’94?


Mauro ripete poi che il Pdl rimane costretto in “Un ideologismo coatto
che vuol tenere l’Italia dentro uno schema vecchio e impaurito”. L’ideologismo,
secondo il Devoto-Oli, è la “Tendenza all’esaltazione esclusiva dei principi
astratti di un’ideologia”. Non si era capito male, dunque. Berlusconi non solo è
un ideologo ma al suo partito impone un corpus “coatto” di ideologie astratte. E
dire che la sinistra gli ha dato dell’ignorante e del superficiale per quindici
anni. Evidentemente durante questo tempo Mauro faceva parte di una spedizione
scientifica in Antartide.


Altro elemento stupefacente è il dato secondo cui l’Italia sarebbe
costretta da Berlusconi dentro uno schema “impaurito”. Se c’è un uomo che non si
è mai lasciato impaurire od abbattere, neanche nei momenti più bassi delle sue
parabole, è certamente Berlusconi. Quest’uomo è spavaldo e guascone fino a
rasentare il cattivo gusto e la sua Italia non è impaurita, ché anzi si vuole
vincente perfino quando appare perdente.


Berlusconi, fra le sue colpe, ha anche questa: “nel popolo più che nelle
istituzione cerca la sua forza e la sua legittimazione”. E questa dovrebbe
essere una critica? Le istituzioni servono per dare attuazione concreta e
democratica alla volontà del popolo, unica sorgente della legittimità
repubblicana. Se questa riposasse sulle istituzioni, e non sulla volontà
popolare, l’Italia avrebbe un’oligarchia, non una democrazia. A meno che quello
di Mauro non sia un lapsus per cui la vera legittimazione è l’approvazione
dell’establishment e dei poteri forti, rispetto ai quali il popolo (capace di
votare per Berlusconi, il gaglioffo) è un inciampo e una seccatura.


Il direttore di Repubblica sottolinea poi come secondo il Cavaliere ci
sarebbe “una diffidente separazione-contrapposizione tra il cittadino e lo
Stato, come se la politica… si riassumesse nella delega al Principe”. Se queste
parole significano qualcosa, indicano che non ci dovrebbe essere separazione tra
cittadino e Stato. E questo un po’ sorprende. Ognuno di noi si è sentito a volta
a volta figlio, studente, automobilista, pedone, elettore, ma non molti si
saranno sentiti Stato. Non chi qui scrive, comunque.


Ma ciò che più importa è che la frase del Direttore è contraddittoria.
Prima sembra dire che Berlusconi è per la separazione-contrapposizione fra
cittadino e Stato, garanzia di resistenza alla dittatura, e poi sembra dire che
Berlusconi è a favore della “delega al Principe”, cioè al dittatore, cioè a lui
stesso. Ma questo è in contrasto con la separazione-contrapposizione. Insomma il
Cavaliere è contemporaneamente un tendenziale anarchico e un  tendenziale dittatore. Miracoli di
Arcore.


Ma forse si stanno spendendo troppe parole per un articolo che aveva il
solo scopo di far sapere che il Direttore di Repubblica aveva commentato il
congresso del Pdl.


Gianni Pardo, giannipardo@libero.it


28
marzo 2009


 


IL COMMENTO  – Principe e popolo


   
di EZIO MAURO


 


Concepito come una
“cerimonia” (lo ha detto Emilio Fede) più che come un congresso, l’atto
fondativo del Popolo della Libertà è tutto nel profilo biografico dell’avventura
politica berlusconiana che il Cavaliere ha celebrato ieri dal palco, consacrando
se stesso non soltanto nel fondatore della destra moderna ma nel destino perenne
del Paese, o almeno del 51 per cento degli italiani.


La rivisitazione
eroica degli ultimi quindici anni consente al paesaggio politico e retorico
attorno al Cavaliere di rimanere immobile, tutto ideologico come nel ’94. Così
per il Premier la sinistra resta ancora e per sempre comunista, il Pd è un
bluff, il riformismo è un’illusione, anzi la sinistra sta addirittura uscendo di
scena, e la stessa parola “non piace più”. Un ideologismo coatto, che vuole
tenere l’Italia dentro uno schema vecchio e impaurito, mentre rinuncia a parlare
all’intero Paese.


Non è infatti al
Paese che guarda Berlusconi, ma al “popolo”, vero soggetto politico del nuovo
movimento, strumento di consacrazione quotidiana del carisma egemone, che nel
popolo più che nelle istituzioni cerca la sua forza e la sua legittimazione.
Anche il concetto di libertà è giocato in questa chiave, con una diffidente
separazione-contrapposizione tra il cittadino e lo Stato, come se la politica –
adesso che Berlusconi ha compiuto la sua rivoluzione “liberale, borghese,
popolare, moderata e interclassista” – si riassumesse nella delega al Principe,
con la fine del discorso pubblico così come lo abbiamo finora conosciuto in
Occidente.


La Costituzione resta
sullo sfondo, citata dopo il Papa, sovrastata da un moderno “patriottismo della
nazione”, della tradizione, delle radici cristiane dell’Italia in cui si
recupera anche la “romanità”. E’ il profilo classico di una destra carismatica
che può forse illudere il Paese di semplificare la complessità della crisi ma
che rischia di non governarla: perché il vecchio populismo non può reggere a
lungo la sfida della modernità nel cuore dell’Europa.


 


(28 marzo
2009
)

ultima modifica: 2009-03-28T15:53:43+01:00da Giannipardo
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