LA FORTUNA

LA FORTUNA

La maggior parte degli avvenimenti dipendono da molte cause. Un incidente stradale per esempio si verifica perché due conducenti, per tutta una serie di circostanze (che avrebbero potuto essere diverse per i più insignificanti motivi) si trovano nello stesso momento nello stesso luogo. Dinanzi alla sconfortante varietà e inconoscibilità delle catene causali, gli uomini parlano di (s)fortuna. Ma esiste, la fortuna?

Indubbiamente non esiste quella signora bendata che rappresentavano gli antichi. E non esiste neppure un’entità a se stante, capace di decisioni, di preferenze e di antipatie, che possiamo chiamare fortuna. Non più di quanto esistano la gloria in sé o la bellezza in sé, salvo che come concetti. E ormai nessuno crede più che i concetti esistano al di fuori della mente degli uomini. Se la fortuna è un concetto, se ne può tentare una descrizione, o definizione che sia, rimanendo tuttavia lontani da mitologie e pregiudizi.

La catena causale per la quale si verifica una meteora, per esempio la pioggia, è del tutto sconosciuta ai più. Dunque il fatto che piova un mercoledì mentre qualcuno voleva andare al mare è considerato sfortuna. In realtà, più che di sfortuna, si tratta qui d’ignoranza.  Il meteorologo, in possesso di tutti i dati, avrebbe potuto avvertire: “probabilità di pioggia al settanta per cento”. Il che – oltre tutto – lascia ancora un trenta per cento alla “fortuna”, cioè all’imponderabile.

La fortuna e la sfortuna sono il giudizio positivo o negativo che diamo ad una serie causale ignota che ci favorisce o ci sfavorisce.

Ovviamente il problema si complica quando l’avvenimento è anche il risultato di un comportamento umano, visto che il comportamento umano è spesso teleologico. Chi ha studiato molto non è che benefici di chissà quale fortuna, se è promosso. Ed infatti tutti diciamo che “la promozione se l’è meritata”. Tuttavia poteva pure avvenire che il candidato litigasse col professore, che il professore avesse la luna di traverso, che la domanda concernesse un argomento a torto non ritenuto parte del programma: insomma possono verificarsi tanti di quei fatti imprevedibili, che anche lo studente preparato può far male ad un esame e doversi accontentare di un brutto voto o rassegnarsi alla bocciatura. A questo punto tutti parlerebbero di sfortuna, ma sarebbe una perdita di tempo. È osservazione comunissima che non tutti i comportamenti lodevoli sono premiati e non tutti i comportamenti biasimevoli sono puniti

Nessuno ci ha assicurato che la realtà è indefettibilmente logica e coerente. Non tutte le madri amano i figli, non tutti i magistrati sono onesti, non tutti i professori sono colti. Statisticamente ci capiterà d’incontrare un giudice negligente, un professore incapace, una madre che maltratta i figli: e soprattutto un mare di nevrotici in tutti i campi. Insomma è come se in un cassetto ci fossero cento paia di calzette di cui novanta nere e dieci bianche e prendendo una calza a caso ci si stupisse che sia bianca. Fortuna, sfortuna? Falso concetto: probabilità statistica del dieci per cento. Qualcuno doveva pur pescarla, qualche calzetta bianca.

La definizione di sfortuna potrebbe essere: “Casualmente, una cosa che poteva andarmi bene m’è andata male”. Ma, appunto, la casualità funziona tanto in negativo quanto in positivo. E tanto più spesso negativamente, quanto maggiori sono le probabilità statistiche: non stupisce che una preparazione incompleta porti alla bocciatura, anche se c’era un argomento su cui si sarebbe risposto bene.

Perfino se si è ben preparati e va male, è vietato dire: “questa cosa che doveva andarmi bene m’è andata male”. Perché nessuna cosa ha nessun dovere. E certo non la casualità. Si aveva solo una ragionevole aspettativa, sulla base della preparazione.

Il fatto che tanta gente creda alla propria personale sfortuna nasce da quell’osservazione di Tucidide (ripresa da Nietzsche) per cui “nessun vincitore crede mai alla fortuna”. Se attribuiamo tutte le nostre vittorie al nostro merito e tutte le nostre sconfitte alla sfortuna, è ovvio che ci considereremo sfortunati: la fortuna non l’abbiamo mai vista.

Molta gente, dovendo ipotizzare un caso fortunato, pensa subito alla lotteria, ma nessuno dice mai: “Ho avuto fortuna, nello sposare mia moglie”. Perché pensa che sia merito suo e dimentica che avrebbe potuto anche non incontrarla mai.

Tutti viviamo immersi in un’infinita serie di catene causali che si urtano e s’intersecano in maniera inestricabile. Possiamo solo far sì che le probabilità positive siano dal nostro lato. Chi guida con prudenza ha meno probabilità di altri d’avere un incidente stradale. Nessuna sicurezza, si sa che il migliore dei guidatori potrebbe una volta o l’altra morire per la strada: ma nessuno può negare – e non lo negano soprattutto le società d’assicurazione – che provocano più incidenti i giovani che le donne.

Un’ultima considerazione riguarda la “sfortuna obiettiva”. Le serie causali che ci favoriscono e quelle che ci sono contrarie sono distribuite a caso nella realtà, ma la distribuzione a caso non è una distribuzione che dà a tutti la giusta quantità. Se ho ottocento calzette, quattrocento bianche e quattrocento nere, e le distribuisco a caso a venti amici, è bene che essi non s’aspettino d’avere dieci calzette bianche e dieci nere ciascuno. La distribuzione a caso è proprio quella in cui potrebbe anche capitare che uno ricevesse sei calzette nere e quattordici bianche. Le catene causali dipendenti dal caso possono essere più negative o più positive della media. Chi ha avuto un incidente ed è portato in ospedale da un’ambulanza deve sapere che rischia un secondo incidente, con l’ambulanza. Si tratta infatti di un veicolo che, se pure strepitando, corre più veloce degli altri. Avere un incidente con l’ambulanza è forse “sfortuna”, certo non è “un imprevisto”. E infatti anche le ambulanze sono assicurate contro gli infortuni.

Il caso più drammatico è quando la distribuzione a caso accumula su un povero individuo più forme di minorazione. Quella sì, è una pesante “sfortuna” obiettiva. Purtroppo statisticamente inevitabile.

Il caso non tende né a favorirci né a danneggiarci: non tende a nulla. Non esiste una Dea bendata che, invece di baciarci, ci perseguita con un forcone.

Gianni Pardo 5 agosto 2003

LA FORTUNAultima modifica: 2009-03-18T19:25:36+01:00da Giannipardo
Reposta per primo quest’articolo