ENGLARO, OMICIDIO, CALUNNIA

ENGLARO, OMICIDIO, CALUNNIA

La Procura della Repubblica di Udine ha aperto un’indagine a carico di Giuseppe Englaro e un’altra decina di persone per il supposto omicidio volontario premeditato pluriaggravato di Eluana Englaro. I fatti sono noti e non saranno ricordati.

Prima facie, come si dice, o di primo acchito, l’accusa sembra assurda. L’art.51 del codice penale insegna infatti che: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità”. E nel caso si ritenesse che nemmeno l’autorizzazione della Cassazione fosse sufficiente per sollevare Englaro e compagni dall’accusa di omicidio, soccorrerebbe il capoverso: “Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine”. Qui, per la verità, si tratta di un’autorizzazione, piuttosto che di un ordine, ma la responsabilità penale non cambierebbe. Infatti, Art.40 cpv del Codice Penale, “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Se così fosse, la Cassazione, non impedendo l’evento che il denunciante reputa omicidio volontario premeditato pluriaggravato, si sarebbe resa colpevole del reato, mentre Englaro e gli altri rimarrebbero non punibili.

In altri termini, comunque si ponga la questione, Englaro e gli altri non possono essere colpevoli. Il denunciante è temerario e, nel caso un reato fosse stato commesso, avrebbe sbagliato indirizzo, in quanto avrebbe dovuto accusare i magistrati della Cassazione che hanno confermato persino la validità dei protocolli previsti per l’attuazione della decisione.

Quid iuris, chiedevano a questo punto i giuristi? Quali sono le conseguenze giuridiche di tutto questo?

La risposta è semplice. È certo che gli accusati non hanno commesso, anzi, non hanno potuto commettere nessun reato. Chi li denuncia, sapendo che erano stati autorizzati dalla magistratura e che hanno agito nell’esercizio di un diritto legittimo, con bolli e firme della Cassazione, realizza la fattispecie prevista dall’art.368 del Codice Penale. Ecco la norma: “Chiunque, con denunzia, querela , richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’autorità giudiziaria o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni.

La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave”.

Se in Italia vigesse veramente il diritto, se veramente le decisioni dei magistrati fossero unicamente ispirate alla legge, nulla potrebbe sottrarre il o i denuncianti ad una condanna da due anni e otto mesi a otto anni di galera (art.368 cpv, calunnia aggravata). Di fatto invece, dal momento che il denunciante è stato mosso dalle proprie convinzioni religiose, prevarrà “il buon senso”. In altre parole la magistratura, per non urtare la sensibilità di metà della popolazione, si limiterà ad archiviare la pratica.

La tesi sarà probabilmente la seguente. Il o i denunzianti non saranno processati perché – si sosterrà, dal momento che il reato di calunnia ha come sostanza il pericolo che si instauri un procedimento a carico della persona calunniata, e dal momento che in questo caso il pericolo non è mai stato serio – Englaro e compagni essendo evidentemente innocenti – la denuncia è stata uno scherzo. E all’umile commentatore rimane la domanda di come si sarebbero sentiti i magistrati della Procura di Udine, se qualcuno li avesse accusati di omicidio.

Naturalmente non si osa neppure fare l’ipotesi che si instauri un processo per omicidio.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

28 febbraio 2009

ENGLARO, OMICIDIO, CALUNNIAultima modifica: 2009-02-28T12:14:00+01:00da Giannipardo
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