UNA QUESTIONE FUTILE

UNA QUESTIONE FUTILE

Dei lettori chiedono conto a Sergio Romano, editorialista del “Corriere della Sera”, del suo atteggiamento favorevole al riconoscimento di Hamas, malgrado il suo statuto terroristico, e favorevole a negoziati diretti Israele-Hamas. Romano risponde che quelle dello statuto di Hamas sono parole vane, dalle finalità prevalentemente propagandistiche, vista l’irrealizzabilità del progetto; che l’inclusione di quell’organizzazione fra quelle terroristiche non ha un serio valore di certificazione, perché questo genere di dichiarazioni dipende da negoziati fra i vari paesi e dai loro interessi; che infine è inutile che Israele dichiari di non poter negoziare con Hamas, visto che già lo fa, se pure attraverso la mediazione egiziana. E tanto varrebbe farlo a faccia a faccia.

Romano – pure sottilmente anti-israeliano da sempre – dice stavolta cose indubbiamente vere. Dunque bisogna plaudire alla sua tesi? La risposta è no.

Se è vero che coloro che “non si parlano” “si parlano” di fatto (come i divorziandi, attraverso i loro avvocati), perché farlo ufficialmente? Hamas ha interesse a presentarsi come l’arcinemico di Israele, l’organizzazione che non scenderà a nessun compromesso, che porterà a termine la missione finale, dovesse costare la vita a molti, ecc. e tutto questo per il popolino è incompatibile col dialogo cortese. Dunque Hamas tiene a far sapere che “non parla con Israele”. Israele fa altrettanto, nei riguardi di un’organizzazione effettivamente spregevole e terroristica. Ma dal momento che gli amici si possono scegliere e i nemici no, se bisogna mettersi d’accordo sui termini di una tregua, si è obbligati a comunicare. Poi, che lo si faccia nella stessa stanza, in due stanze separate con un cireneo che fa la spola, o attraverso ambasciate straniere, poco importa.

Ecco perché la questione è sembrata futile. I lettori chiedono: perché parlarsi, se l’altro è un nemico inqualificabile? E la risposta è semplice: perché è inevitabile. Romano allora dice: perché non parlarsi in pubblico, se già lo si fa in privato? E anche qui la risposta è semplice: perché parlarsi in pubblico non converrebbe a nessuno. Dalla necessità alla pubblicità il passaggio non è obbligatorio, diversamente i gabinetti non avrebbero porte.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

23 febbraio 2009

UNA QUESTIONE FUTILEultima modifica: 2009-02-23T10:06:38+01:00da Giannipardo
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