INFERNO E PARADISO

INFERNO E PARADISO

Su paradiso e inferno come realtà ultraterrene potranno dare maggiori informazioni coloro che si intendono di religione e di metafisica. Per la gente comune invece quei due concetti si riferiscono alla vita quotidiana. Avere a che fare con la burocrazia in Italia, ecco l’inferno. Dormire bene e svegliarsi vedendo arrivare la persona amata con la prima colazione sul vassoio, ecco il paradiso. E chi non capisce che quest’ultimo è il paradiso, rischia di non conoscerlo mai.

Jean Paul Sartre ha dato una famosa definizione: l’enfer, c’est les autres, l’inferno sono gli altri. Lasciando da parte i motivi seri di infelicità (la malattia, la miseria, la solitudine), per quanto riguarda la vita familiare alcuni vivono in paradiso ed altri all’inferno senza che l’osservatore neutrale riesca a vedere una differenza sostanziale fra le loro situazioni.

Non c’è nulla di più banale che chiedere: “Faccio un caffè, ne vuoi?” Eppure partendo da questa frase si può imboccare la strada del paradiso o quella dell’inferno.

Paradiso: “No, ti ringrazio. Purtroppo il medico mi ha imposto dei limiti”.

Inferno: “Bravo! Così magari schiatto più in fretta! Possibile che ti interessi così poco di me da non ricordare quel che m’ha detto il medico? (con scherno:) Lo vuoi un caffè? mi dice. Tanto vale che tu mi chieda se voglio del cianuro”.

E non è detto che la diatriba finisca qui. La controparte può infatti rispondere: “La verità è che uno non dovrebbe mai essere gentile, con te. Sei come certi gatti, uno ti accarezza e tu graffi. E poi – per tua norma – il medico ti ha solo raccomandato di non berne più di tre al giorno”. E finisce qui? No, per nulla: “Ma io li ho già bevuti tutti e tre!” “Ed io come faccio a saperlo? Sto forse dietro di a contare quanti ne bevi?” Si può continuare, fino al lancio dei piatti e al divorzio. Tutto per non aver risposto “No, grazie”.

Gli esempi sono infiniti. A chi chiede tre volte che ora è nel giro di dieci minuti si può dare l’ora tre volte oppure farne una tragedia. Alla fine di una telefonata, se uno chiede “Che ti diceva tua madre?” la risposta, se si vuole mantenere il segreto, è “Le solite cose”. Se invece si risponde: “Affari nostri, possibile che ti debba dire anche quello che mi dice mia madre?” è facile imboccare il sentiero dell’inferno. L’argomento delle rispettive famiglie oltre tutto è esplosivo: “E allora perché tu mi chiedi quello che mi dice la mia?” Oppure: “Ah, certo, le cose che ti dice la signora professoressa io non le potrei capire!” E, peggio di tutto: “Ti ha detto male di me, l’immagino. E tu l’ascolti sempre religiosamente!”

Il paradiso e l’inferno si distinguono anche in un altro modo. Gli egoisti si credono sempre in credito e cercano sempre di approfittare dell’altro. E alla fine naturalmente pareggiano. Al contrario, gli altruisti – o due che si vogliono bene nella maniera giusta – fanno una continua gara di generosità. E anch’essi, essendo uguali, alla fine pareggiano. Esattamente come nella gara di egoismo: solo che nel primo caso si vive tra le fiamme, nell’altro le nuvole azzurre, con un’arpa in mano.

La nostra civiltà non si occupa molto di saggezza. L’ultimo che ne ha parlato con qualche efficacia è stato Michel de Montaigne. Dunque ci sono poche speranze che qualcuno cambi comportamento perché ha letto alcune righe di un articolo. Ma esse possono servire per chiarire il problema intellettualmente.

Unica possibile difesa: si può spiegare chiaramente, in un momento di calma, questa differenza fra l’inferno e il paradiso. Poi, nel momento in cui l’altro fosse sgradevole, gli si può chiedere con tono serafico: “Vuoi che ci amiamo o preferisci litigare?” E se neanche questo basta, contattare un bravo avvocato divorzista.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it


12 gennaio 2009

INFERNO E PARADISOultima modifica: 2009-02-22T13:03:15+01:00da Giannipardo
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Un pensiero su “INFERNO E PARADISO

  1. UN COMMENTO E UNA RISPOSTA

    Un amico psichiatra mi scrive dagli Stati Uniti:

    Su Inferno e Paradiso devo dire che sono d’accordo, solo che aggiungerei che non si tratta di un semplice fenomeno dovuto al linguaggio o alla buona creanza. Penso che chi cerchi la lite la trovi perché ne ha “bisogno”. Per questo mi scontro con coloro che praticano la IPT (interpersonal therapy) al fine di modificare il linguaggio di coppia – e pure con risultati diciamo OK. Tali persone diventano poi come coloro che si devono ricordare di respirare (la maledizione di Ondina) o quando vanno in bicicletta fanno destra… sinistra… destra… Come è più facile e più soddisfacente non essere un cane arrabbiato che va in giro a mordere. Si tratta di fare un altro tipo di lavoro, di terapia.

    S.P.

    Rispondo a mio modo. Il problema sollevato è interessantissimo e le due posizioni sono entrambe valide. Si può convincere qualcuno che deve smettere di fumare, anche se compra sigarette e le offre agli amici, oppure convincerlo a non toccare mai, per nessuna ragione, una sigaretta. Nel primo caso una decisione in linea col male che si vuole estirpare, nel secondo un comportamento che comporta l’estirpazione di quel male, pur non mirando direttamente ad esso.

    Naturalmente qualcuno potrebbe obiettare che chi si astiene dal dare risposte acide, o dal toccare le sigarette, non è tanto scemo da non capire che così sta cercando di essere meno sgradevole o sta cercando di smettere di fumare. Dunque i due comportamenti in un certo senso si potrebbero ridurre ad uno. E si comprende anche la tesi del mio amico: è certo meglio la coscienza dell’errore, e la voglia di eliminarlo, che l’obbedienza passiva a certe regole di comportamento.

    Ma si potrebbe sostenere la tesi inversa. Molta gente che ha un comportamento insopportabile, se rimproverata, si giustifica. Non riconosce che ha bisogno della lite, come dice S.P.: sostiene anzi che è l’altro, che la cerca. Come le/gli può offrire un caffè, sapendo che non ne può bere? E se l’ha dimenticato significato che non l’ama. E non dovrebbe protestare?

    Ecco perché gli adepti dell’IPT hanno qualche ragione. “Se non capisci che in questo modo cerchi la lite, impara a non rispondere scortesemente. Può darsi che la forma t’insegni la sostanza”.

    Poi, ovviamente, tutto è materia di discussione.

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