LA BICICLETTA CAPITALISTA

LA BICICLETTA CAPITALISTA Quando è crollato il comunismo, gli adepti più fedeli hanno sostenuto una tesi interessante. Hanno detto che le idee di Marx, di Lenin e degli altri teorici erano giuste: solo che gli uomini non erano riusciti ad applicarle. Per questo, molti critici di tendenza comunista ora dicono: per la grande crisi economica attuale volete dare il torto ai banchieri, ma non è che per caso sia sbagliata la teoria del liberalismo in economia? Diversamente, come mai per il comunismo dareste il torto alla teoria e per l’economia di mercato dareste il torto agli uomini che la realizzano? La tesi non è priva di suggestioni. Bisogna infatti guardarsi dal pericolo di usare un metro per le cose che amiamo e un metro diverso per quelle che non amiamo. È però innegabile che le due teorie si differenziano in modo inconciliabile. Il primo, fondamentale contrasto è questo: mentre nell’economia libera le crisi più o meno gravi sono un fenomeno ricorrente, e la normalità è una vita prospera, nell’economia statalista la normalità è la miseria e non si è mai vista una vera prosperità. È vero che nell’economia di Stato le crisi o non esistono o sono di scarsa ampiezza, ma questo viene pagato, per così dire, con una crisi permanente: si è costantemente vicini al livello di sopravvivenza. Al contrario, l’economia libera è stata paragonata ad una bicicletta che avanza perdendo costantemente l’equilibrio – come è naturale, visto che si tratta di due sole ruote – ma non cade mai, perché il ciclista corregge continuamente la rotta col manubrio. L’esperienza di molti decenni dice che una bicicletta “che cade continuamente” è molto più veloce di un carretto a quattro ruote, che non cadrebbe mai. Una volta, durante una serata elegante, George Bernard Shaw, noto misogino, continuava a provocare una signora, arrivando infine a dirle: “Lei è veramente brutta”. Al che la donna replicò seccamente: “Lei è completamente ubriaco”. “Sì, è vero, riconobbe il commediografo. Io però domani sarò sobrio”. Nello stesso modo, le crisi del capitalismo possono essere gravissime, ma se ne esce. Sempre. Perché si tratta di aggiustamenti della traiettoria. La mano invisibile di cui parlava Adam Smith non è quella di una bambinaia che evita al bimbo il più piccolo bobò, però è vero che perfino dopo il 1929 il mondo dell’economia libera è stato florido. Ha imparato la lezione ed è andato avanti. Magari non l’ha imparata perfettamente, come dimostra la crisi di questi giorni: ma nel 2008 nessuno si è suicidato, i fallimenti non sono diventati migliaia e i disoccupati non sono scesi in piazza a milioni. Bisogna contentarsi. Certo, chi in questo frangente ci ha rimesso somme notevoli non può facilmente accettare questo olimpico ottimismo: ma se si considera tutto, la situazione è difficilissima senza essere tragica. E soprattutto si può star certi che se ne uscirà. C’è un’enorme differenza fra soffrire aspettando la guarigione e soffrire senza speranza. L’economia di Stato è un sistema in cui un supremo regolatore dirige tutto e non ammette contraddittorio. L’economia capitalista è invece quella che realizzano gli uomini, se sono lasciati liberi di operare. Per conseguenza, in caso di difficoltà, gli si può dire “è il sistema che avete voluto”; e comunque non ce n’è uno migliore. Avete la libertà di lamentarvi, ma sapendo che è come lamentarsi del cattivo tempo. L’economia di mercato è un sistema imperfetto. Ma anche la vita è un sistema imperfetto. Solo che è tanto più bella della sua alternativa. Gianni Pardo, giannipardo@libero.it 8 ottobre 2008
LA BICICLETTA CAPITALISTAultima modifica: 2008-10-08T15:00:00+02:00da Giannipardo
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