DOV’È BEETHOVEN?

In un telefilm americano gli investigatori trovano il cadavere di un uomo, sul marciapiede. L’uomo è stato ucciso ma ha ancora in tasca il portafogli e il portamonete: dunque non è una rapina finita male. Ad un certo punto però uno dei detective, tenendo in mano gli effetti personali del morto, dice: “Come mai non ha le chiavi di casa? Tutti, uscendo, portiamo con noi le chiavi di casa: come mai costui no?” Osservazione non priva d’interesse. Notare un’assenza è più difficile che notare una presenza. Il nostro occhio di predatori è abituato a notare per prima cosa ciò che si muove. Nello stesso modo, se sulla scena c’è un Beethoven, anche l’imperatore d’Austria va ad ascoltarlo. Ma quanta gente nota che oggi non c’è nessun Beethoven?

 

Alcuni anni fa uno storico americano, Fukuyama, azzardò la tesi della “fine della storia”. Non succedeva più niente e niente sarebbe successo in futuro, opinava: una volta raggiunte la prosperità e la democrazia, non c’era più dove andare. Questa idea si può discutere ma rischia di sembrare valida in un altro ambito, quello artistico. E torna la domanda: come mai non c’è nessun Beethoven?

 

Guardando alla storia dell’arte, si notano momenti in cui essa fiorisce in modo rigoglioso ed anzi splendido: l’Atene di Pericle, l’Italia letteraria del Trecento, il Settecento in musica. È vero che ci sono periodi di stasi e, per così dire, di silenzio: dalla caduta dell’Impero Romano al Duecento, è come se l’Europa, dal punto di vista artistico, si fosse addormentata. Ma che risveglio! Da quel momento la fiaccola è passata dall’Italia alla Francia, alla Spagna, all’Inghilterra, ed è stato tutto un fiorire di opere e di autori. Per parlare solo di Parigi nel 1830, ecco un anno in cui trionfa il romanticismo con Victor Hugo, Lamartine, Vigny, Musset e tanti altri, mentre Berlioz produce – cosa incredibile, stante la modernità di quel testo musicale – la “Symphonie Fantastique”. E si potrebbe continuare allineando decine di nomi che sono ancora oggi famosi. L’Ottocento è l’ultimo secolo d’oro, per l’arte.

 

Col Novecento purtroppo il grande fiume diviene torrente; e poi ruscello, e poi rigagnolo e oggi sembra asciutto.

 

Già negli anni Cinquanta del secolo scorso, ragazzo, mi lamentavo della penuria di grandi scrittori, grandi pittori, di grandi compositori. E tutti mi rispondevano: “Che ne sai? Forse in questo momento c’è già un grande artista ignorato, forse opere che oggi ci sembrano astruse un giorno saranno riconosciute come capolavori. A volte l’arte è in anticipo sul presente”. Belle parole, contro cui non potevo obiettare nulla. Ma chi è ottimista a volte è sconfitto da chi è longevo. Sono passati molti decenni e l’umanità non ha ancora applaudito quei geni ignoti. Non si è ancora entusiasmata per un’opera artistica degna della Nona di Beethoven. È finalmente lecito dire che, se non la fine della storia, stiamo vivendo la fine dell’arte? E, se non la fine dell’arte – dal momento che nessuno conosce il futuro – quanto meno un lungo sonno artistico? Fino al 1897 c’è stato Brahms, ma in seguito c’è forse stato un altro Brahms? In musica abbiamo avuto il jazz e i Beatles, ma chi oserebbe comparare questi risultati con la grande musica? Tutti i programmi di musica alta (Il Quinto Canale della Filodiffusione italiana, France Musique, Radioclassique, Radioclasica, RadioSwissClassic) ignorano serenamente tutto ciò che è stato prodotto nel secolo scorso. Ogni tanto, per scrupolo, trasmettono Gershwin o qualche aria di un famoso musical americano, ma proprio queste “citazioni” dimostrano che, pur senza avere pregiudizi, non c’è poi molto, da ascoltare, dopo Mahler.

 

E le cose non vanno meglio in letteratura. La pletora di autori, in tutte le lingue, e in un momento in cui chiunque può pubblicare (anche gratis, sul proprio blog), dimostra l’inesistenza del grande genio che segna col proprio nome un’epoca. Anche qui, dov’è il Beethoven delle lettere? Per non parlare della pittura – che fa spavento alle persone normali – o della scultura, le cui produzioni sembrano piuttosto sintomi di una patologia che occasioni di godimento.

 

Chi mi conosce personalmente sa che queste sono cose che dico da molto tempo. Dagli Anni Cinquanta, appunto. Ma forse che il passaggio del tempo non mi dà ogni giorno più ragione?

 

Non sono constatazioni che si fanno volentieri. Si direbbe che dal punto di vista artistico siamo costretti a rimasticare il passato. Di attuale c’è solo il cinema, un’arte minore che il tempo corrode. È legno, non marmo. Per amare “La conquista del West”, “Ombre Rosse” o “La foresta pietrificata” bisogna un po’ avere l’animo dell’archeologo. Un giovane già storcerebbe il muso solo alla prima immagine: “Un film in bianco e nero?”

 

La conclusione è sconsolata. Negli anni Cinquanta non ero contemporaneo di grandi geni allora misconosciuti, ero contemporaneo di una enorme massa di persone come me: epigoni.

 

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

 

11 agosto 2008

 

DOV’È BEETHOVEN?ultima modifica: 2008-08-11T14:54:21+02:00da Giannipardo
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