UNA CARTOLINA POSTALE

Chi viaggia in automobile e dorme ogni sera in una tenda, vive l’esperienza del nomade. Da un lato è sottoposto ai capricci del tempo  – sole, pioggia, freddo, caldo – e dall’altro ha sugli stanziali la superiorità di chi tutto guarda e nulla possiede.
Una volta un personaggio di Charles Morgan, Sparkenbroke, mentre se ne stava sotto una quercia, fu rimproverato dal proprietario. La quercia era sua, diceva il contadino, ma l’altro lo irrise: “Vostra? Voi avete solo il diritto di tagliarla e bruciarla. La quercia è invece mia nel senso che io ne capisco la bellezza”. Nello stesso modo il turista frugale ed isolato della realtà vede solo l’aspetto estetico. La cattedrale o il castello non sono suoi, ma se è per questo non sono suoi nemmeno il cielo, e il sole, e l’aria, e la strada che percorre. Chi nulla possiede è come se sorvolasse la realtà giuridica e monetaria. È nella condizione del borghese nei confronti del generale di corpo d’armata: non facendo parte dell’esercito, che l’altro sia generale o caporale fa lo stesso. È un gioco cui non partecipa.
Il viaggiatore senza meta, senza casa, senza nemmeno un tetto, è un nomade pro tempore. Perde le proprie radici e, se conosce la lingua del paese in cui va, può anche giocare con l’idea di essersi reincarnato in un altro posto. In un altro mondo in cui, al prezzo di qualche scomodità può, da zingaro, sentirsi il padrone del mondo. Il profilo delle montagne, rappresentazione visiva della vita monotona dei valligiani, è per lui una frazione minima di caleidoscopio.
Il viaggio – questa astrazione – è una inevitabile riflessione sull’insignificanza e sulle contraddizioni dell’intera realtà. Da un lato cambiano le città e le strade, dall’altro si ritrova al suo posto, dopo anni, un vecchio albero: tutto può cambiare, molto rimane lo stesso, e alla lunga tutto finisce. Come ci ha ammoniti Paul Valéry, anche le civiltà sono mortali. Forse proprio per questo l’occhiata distratta che il nomade dà alle case, alla gente, ai monumenti, e perfino alla stessa natura, è la migliore valutazione dell’esistenza. Se la si prende sul serio, questa è “una storia narrata da un idiota, piena di rumore e di furia, che non significa nulla”, come scriveva Shakespeare. Se invece non le si dà importanza, è una serie di belle immagini da osservare e gustare con malinconica leggerezza, come può fare il nomade: estraneo a tutto, ma non alla vanità del tutto.
Gianni Pardo, giannipardo@libero.it
23 luglio 2008

UNA CARTOLINA POSTALEultima modifica: 2008-07-23T10:49:12+02:00da Giannipardo
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