La fame nel mondo

LA FAME NEL MONDO

Una delle cose migliori dell’epoca contemporanea è la comune capacità di sentire pietà. Per secoli e secoli infatti, forse perché la vita di troppi era già durissima, le pene altrui hanno trovato poca eco: anche per questo si accettavano senza battere ciglio, a volte anzi come un divertimento, torture e sanguinose esecuzioni in pubblico.

Oggi chi non senta pietà per le folle denutrite, per i bambini famelici, per regioni in cui perfino gli animali sono pelle e ossa, è un reprobo: e per questo sono nate organizzazioni non governative, iniziative benefiche di ogni colore e perfino un’Organizzazione delle Nazioni Unite, la Food and Agricultural Organization. Ma il problema è stato risolto?

Se i sazi fossero molti e gli affamati pochi, i primi potrebbero nutrire i secondi con un minimo sforzo. Se invece i secondi sono molto più numerosi, non c’è speranza. Si può donare un centesimo del proprio reddito, non certo il 70%. Facendo la carità, ci si mette la coscienza a posto per un bel po’, ma chi la riceve ha fame tutti i giorni. Dunque non serve un aiuto una tantum, ma un flusso costante e regolare, ed anzi dal ritmo crescente, visto che tende a crescere la popolazione aiutata. È come attingere acqua con un canestro. Per questo i governi promettono molto e danno poco: promettono quando sentono la pietà e la pressione dell’opinione pubblica, non pagano quando fanno i conti.

Delittuoso è poi cianciare di “diritto al cibo”. Un diritto è tale quando si può esercitare nei confronti di qualcuno: ma a chi si può dire a brutto muso “nutrimi, altrimenti…”? È simile al poetico “diritto alla casa” o “diritto al lavoro” cui credono tanti italiani.

Un secondo elemento di cui si tiene un conto insufficiente è che, come fece notare Malthus secoli fa, la Terra ha dimensioni limitate. Se dunque la popolazione aumenta vertiginosamente è come se i terreni coltivabili si restringessero: dunque, o si soffre la fame oppure bisogna introdurre tecniche di coltivazione che, malgrado le condizioni geologiche e meteorologiche, abbiano un altissimo rendimento. Per far questo, però, il paese deve essere colto e sviluppato (per esempio Israele): proprio ciò che la maggior parte dei paesi “affamati” non è.

La diabolica rincorsa fra l’aumento della popolazione e il “restringimento” delle aree facilmente coltivabili fa sì che il problema si aggravi costantemente e la pietà rischi di volgersi in rabbia. Si vorrebbe chiedere a tutte quelle madri e a tutti quei padri: “Perché avete messo al mondo dei figli se non avevate di che nutrirli?” Ma questa è una cosa da non dire. La Chiesa (intellettualmente ferma alla mortalità infantile medievale) è contraria al controllo delle nascite; quei genitori sono troppo ignoranti per capire questo discorso e infine le anime belle  proclamano il diritto alla maternità di tutte le donne del mondo. Peccato che quel diritto non dia da mangiare.

Il problema rimane irrisolto. Si ricomincia dunque a sognare di inviare almeno aiuti ai bisognosi: ma quali? Denaro? Ci sono degli inconvenienti. In primo luogo, esso ha tendenza a fermarsi nelle mani dei dirigenti locali; poi, i canali su cui viaggia somigliano a condutture piene di buchi, e a destinazione ne arriva molto meno di quello che è partito; infine il denaro non si mangia. Dovrebbe servire a comprare cibo ma, appunto, in primo luogo il cibo deve esistere ed ha invece tendenza a scarseggiare; poi, se molti vogliono comprarlo, il prezzo aumenta. E non tutti possono pagarlo.

Un ultimo, deleterio effetto della carità è che chi è aiutato ha tendenza a darsi meno da fare. Il liceale svogliato non studia perché non ha dubbi che i suoi genitori lo nutriranno lo stesso. Se viceversa il suo cibo dipendesse dal suo sforzo (caccia e pesca, lavoro, studio), non avrebbe bisogno di incitamenti a fare il suo dovere. Gli incitamenti glieli darebbe lo stomaco. Per la stragrande maggioranza dei paesi poveri gli aiuti sono insufficienti e tendono a diminuire; quando invece sono consistenti (Territori Occupati e Gaza), la prospettiva dell’aiuto rende meno laboriosi e in fin dei conti poverissimi.

La conclusione è sconsolata. La FAO è riuscita a debellare la fame, anche di lussi, dei suoi funzionari ma per il resto è del tutto inutile. L’unica risposta efficace alla fame potrebbero darla gli interessati, se facessero meno figli e studiassero di più.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

6 giugno 2008

 

La fame nel mondoultima modifica: 2008-06-06T13:25:00+02:00da Giannipardo
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2 pensieri su “La fame nel mondo

  1. Infatti la mia conclusione è che non c’è niente da fare.
    Fra l’altro, la storia mi ha insegnato che se uno andasse lì e risolvesse il loro problema, almeno per un certo tempo, sarebbe accusato di paternalismo, di avergli dato cose di cui non sapeva che farsi, di avere voluto aprire la strada a nuovi mercati, di avere corrotto gli antichi costumi e forse anche di avere inquinato il territorio.
    Tutto, salvo la parola “grazie”.

  2. OTTIMO E CONDIVISO.Peccato che troppo spesso gli inviti alla carità nascondano ben altro e, come giustamente dici, non è poi questione di carità, ma di ristrutturare l’umanità.Impresa un tantinello complicata dal fatto che l’umanità è fatta di “uomini”

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