LA CITAZIONE

LA CITAZIONE

Un libro inglese sulle citazioni, di quattro o cinquecento pagine, si apriva con questa: “Non citare, dimmi quello che hai dai da dire”. Questa sapida auto-ironia echeggia una diffusa antipatia per le citazioni che merita di essere approfondita.

La citazione può avere motivazioni diverse. La peggiore è quella tratta da un’opera ignota, magari di uno sconosciuto, messa lì per far sentire il lettore ignorante, per dargli la sensazione che, contraddicendo quell’idea, farà cattiva figura: “Chissà che gli altri questo autore non lo conoscano bene e lo stimino, mentre io non ne ho mai sentito parlare?”. Una campionessa del genere è Barbara Spinelli.

L’ottimo trapezista è quello che è capace di eseguire la sua prodezza col sorriso sulle labbra, come uno che queste cose sa farle da tanto tempo che ormai non ne vede la difficoltà. Viceversa, l’editorialista della “Stampa” tratta la cultura con la fronte aggrottata e le precauzioni espressive di chi ne è ancora intimidito. E vorrebbe intimidire anche gli altri. Evidentemente la parola “levitas”, a lei che pure maneggia un paio di lingue, risulta sconosciuta.

Al contrario, la citazione migliore è quella che nasce da uno scrupolo di onestà. Se si vuole affermare un’idea giusta, e che per giunta è stata espressa in modo lapidario da un uomo famoso, riscriverla senza citare l’autore sembra un’appropriazione indebita. Non si può dire che “il sommo del diritto corrisponde alla somma ingiustizia” senza citare Cicerone o che “la democrazia è un pessimo tipo di regime, ma gli altri sono peggiori”, senza citare Churchill. Quanto meno, lo si può fare, magari mettendo la frase fra virgolette, solo quando si è sicuri di parlare con persone che già conoscono e la massima e il suo autore. Tanto che indicarlo potrebbe indurre al sorriso.

C’è poi un’altra ragione, per inserire nel proprio testo una citazione: ed è, per dir così, la “gomitata d’intesa”. Se si è certi che il lettore conosce la citazione, e si sa che ne approva il contenuto, quelle parole corrispondono a dire: “come sappiamo benissimo” e corrispondo ad un cenno d’intesa.

Un rilievo a parte meritano le citazioni in lingua straniera. Un tempo si considerava il latino un tale dato di cultura comune, che nessuno traduceva mai una frasetta, soprattutto se notissima. Oggi invece è bene tradurre perfino espressioni trasparenti e banali come “mors tua vita mea” (sopravvivo al prezzo della tua morte) oppure “nemo propheta in patria sua” (nessuno è profeta in patria). E se questo vale per il latino, figurarsi per le lingue straniere contemporanee. Tutti affettano di capire l’inglese ma lo conoscono così male che è meglio tradurre. Soprattutto fra le persone anziane, parecchi non l’hanno nemmeno studiato a scuola, e la pretesa che capiscano frasi come “if you can’t beat them join them” (se non puoi batterli alleati con loro) è francamente assurda. Infine, a coloro che affettano di usare l’inglese distrattamente, come una banalità per la loro e l’altrui cultura, bisognerebbe imporre citazioni in tedesco, per esempio “Man macht was man auch machen kann” (semplicemente: “si fa quello che si può fare”), senza aggiungere la traduzione. Ecco perché risultano insopportabili gli articoli del giurista e professore Franco Cordero[1]: a forza di ripetere al lettore “ma quanto sei ignorante!” rischia che il lettore, in cuor suo, lasciandosi andare al turpiloquio, gli risponda: “ma quanto sei stronzo!”

Le citazioni insomma sono qualcosa che va maneggiato con estrema cura e con molta sobrietà. Sia perché si rischia di irritare il lettore sia perché – come purtroppo capitava fin troppo spesso al povero Enzo Biagi – si ha tendenza a citare a memoria e si sbagliano le parole. Per esempio, tutti dicono “non ti curar di lor ma guarda e passa”, mentre Dante ha scritto “non ragioniam di lor ma guarda e passa”. Oppure si rischia di attribuire ad un autore una frase che non ha mai detto: per esempio, a Machiavelli, “il fine giustifica i mezzi”, o a Conan Doyle, “Elementare, Watson!”

Un proverbio siciliano dice che “i baffi deve portarli il gatto”, nel senso che non a tutti stanno bene, non tutti se li possono permettere. La citazione è dunque un’eleganza in più, per la persona colta e di gusto, così com’è un’occasione di caduta di gusto per chi non è un “gatto”.

Gianni Pardo, giannipardo@libero.it

4 giugno 2008




[1] Nel maggio 2006, irritato proprio dalla sua prosa pretenziosa, scrivevo il seguente “divertissement”.

 

Il professor Cordero, editorialista di Repubblica, molto stimato per la sua cultura e per il suo stile, non si priva di ricorrere con estrema abbondanza a parole straniere e a riferimenti culturali. Suscitando la tentazione di qualche imitazione. Eccone una.

 

Man macht was man auch machen kann, cioè, come dicevano i nostri ancestors, ad impossibilia nemo tenetur. Ma questo non impedisce che sia lecito, pur sapendolo utterly matchless, seguire i footsteps di Cordero (accettando l’aporia di imitare l’inimitabile) anche se fortuna significa sfortuna e dunque questo potrebbe rivelarsi un coup d’épée dans l’eau. Ma Cordero, absit iniuria verbis, significa agnello, e quello che tollit peccata mundi ben perdonerà l’impudente, soprattutto pensando che se vale per los curas, nunca una palabra mala, nunca una obra buena, ben più coudées franches avrà chi non si è impegnato neppure alle palabras buenas. Al massimo il mentore Rei Publicae sarà autorizzato a un gesto apotropaico, che non gli eviterà tuttavia l’aristofanesca catastrofe. Il difetto è nell’arché, nel cominciamento: lui troppo, novello Marsia, confidò nell’effetto che poteva fare col suo stile, e ora il brocardo germanico gli risponde: wo du deinen Glauben gelassen hast mußt du ihn suchen. Che è come dire imputet sibi o, per gli albionici, che il suo è un self-inflicted disaster.

 

Nel divertissement (ognuno ha i paralipomeni che può permettersi) non si corre rischio. Quello che nel reato è il Tatbestand, e nel negozio la causa, nel ludo è ilare voglia di levitas, di cachinno, di ontica spensieratezza. Ed a questa il sottoscritto si appella per quell’acquittal che si augura catafratto nella sua adamantina immutabilità contro ogni possibile gravame. Ma chat échaudé craint l’eau froide e per questo il nome dell’autore rimarrà come il viso del Nilo in Piazza Navona.

 

 

LA CITAZIONEultima modifica: 2008-06-06T12:49:11+02:00da Giannipardo
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